Verso la Open Talent Economy
Nel contesto attuale, il professionista ideale non è più un semplice esperto verticale o un generalista senza specificità, ma una figura ibrida

«Viviamo in un’epoca in cui le trasformazioni tecnologiche stanno riscrivendo le regole del lavoro e dell’organizzazione aziendale. L’Ia-Intelligenza artificiale, in particolare, sta imponendo un’accelerazione senza precedenti che rischia di lasciare indietro chi non è pronto a reinventarsi. In questo scenario in continua evoluzione, due concetti emergono come cruciali: il talento centauro e l’Open Talent Economy. Entrambi rappresentano risposte concrete alla domanda su come le persone e le organizzazioni possano restare rilevanti in un contesto dominato dall’Ia». Lo afferma Matteo Roversi, Chief Community Officer di Cosmico.
Nel contesto attuale, il professionista ideale non è più un semplice esperto verticale o un generalista senza specificità, ma un talento centauro: una figura ibrida che combina la capacità critica e riflessiva dell’essere umano con la velocità e l’efficienza degli strumenti tecnologici. Il talento centauro sa utilizzare l’Ia come un potenziatore delle proprie capacità, mantenendo però il controllo umano sul processo decisionale e creativo. Essere un talento centauro non significa semplicemente imparare a usare nuovi strumenti, ma sviluppare una mentalità proattiva e sperimentale. Significa padroneggiare la tecnologia senza farsene schiacciare, mettendo al centro la creatività e il pensiero critico. In un mondo in cui l’Ia democratizza l’accesso alla conoscenza, ciò che farà la differenza sarà la capacità di esplorare nuove strade, innovare e mantenere una visione critica sui cambiamenti in atto.
Parallelamente, la Open Talent Economy offre un modello di lavoro più agile e flessibile, capace di rispondere alla velocità del cambiamento. Invece di basarsi su strutture aziendali rigide e gerarchiche, questo modello promuove la collaborazione tra talenti distribuiti, che possono essere attivati su richiesta per risolvere problemi complessi e portare innovazione. Secondo una ricerca McKinsey&Company, entro il 2027 più del 50% dei lavoratori in Europa saranno autonomi, mentre negli Stati Uniti oltre il 30% della popolazione già dispone di un reddito da lavoro indipendente. Questa tendenza è sostenuta dalla crescente adozione di piattaforme digitali che facilitano il matching tra talenti e organizzazioni, come nel caso di Cosmico, che ha visto crescere la propria community a oltre 26mila professionisti digitali in pochi anni.
Un altro fenomeno significativo è la frammentazione del lavoro. Nel modello di crescita novecentesco, il percorso professionale era verticale e orientato a job title specifici, riflettendo la logica industriale delle grandi aziende. Oggi, invece, si assiste ad una ulteriore parcellizzazione delle competenze, dove i professionisti assumono ruoli ibridi e mutevoli, spesso agendo come microimprese autonome. Questo nuovo approccio è in parte una risposta alla necessità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti tecnologici e di mercato, riducendo la rigidità organizzativa a favore di una maggiore fluidità e versatilità.
Parallelamente, la Open Talent Economy offre un modello di lavoro più agile e flessibile, capace di rispondere alla velocità del cambiamento. Invece di basarsi su strutture aziendali rigide e gerarchiche, questo modello promuove la collaborazione tra talenti distribuiti, che possono essere attivati su richiesta per risolvere problemi complessi e portare innovazione. Secondo una ricerca McKinsey&Company, entro il 2027 più del 50% dei lavoratori in Europa saranno autonomi, mentre negli Stati Uniti oltre il 30% della popolazione già dispone di un reddito da lavoro indipendente. Questa tendenza è sostenuta dalla crescente adozione di piattaforme digitali che facilitano il matching tra talenti e organizzazioni, come nel caso di Cosmico, che ha visto crescere la propria community a oltre 26mila professionisti digitali in pochi anni.
Un altro fenomeno significativo è la frammentazione del lavoro. Nel modello di crescita novecentesco, il percorso professionale era verticale e orientato a job title specifici, riflettendo la logica industriale delle grandi aziende. Oggi, invece, si assiste ad una ulteriore parcellizzazione delle competenze, dove i professionisti assumono ruoli ibridi e mutevoli, spesso agendo come microimprese autonome. Questo nuovo approccio è in parte una risposta alla necessità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti tecnologici e di mercato, riducendo la rigidità organizzativa a favore di una maggiore fluidità e versatilità.
La crescente frammentazione delle attività professionali ha generato così una diffusa sensazione di frustrazione, spesso legata alla percezione di non produrre nulla di significativo. Questo fenomeno è particolarmente sentito dai professionisti che si trovano a svolgere compiti iper-specializzati e ripetitivi, perdendo il senso del proprio contributo creativo. Tuttavia, gli strumenti di AI rappresentano una risorsa preziosa per riportare il lavoro a una dimensione più autentica e soddisfacente, dove la capacità di problem solving e l’intraprendenza vengono valorizzate.
La creator economy, in questo senso, può essere considerata l’embrione del futuro del lavoro: un modello in cui gli individui riprendono il controllo del proprio percorso creativo, sfruttando le piattaforme digitali per sviluppare e condividere conoscenze a costi sempre più ridotti. Il professionista, quindi, non è più solo un esecutore, ma diventa un'azienda di sé stesso, capace di orchestrare competenze e tecnologie per massimizzare il proprio impatto.
«L’esperienza di Cosmico - spiega Roversi - dimostra come questo approccio possa tradursi in valore concreto, attraverso una piattaforma che mette in contatto talenti digitali con aziende di ogni settore. Il valore aggiunto del modello Talent-as-a-Service sta proprio nell’elemento community, che diventa il cuore pulsante dell’innovazione, un laboratorio permanente in cui idee e competenze si contaminano e si trasformano in progetti concreti. Non si tratta solo di fornire risorse professionali, ma di creare un ecosistema in cui i talenti possano crescere, formarsi continuamente e contaminarsi a vicenda. Le aziende devono imparare a costruire comunità attive e partecipative, dove il sapere circola liberamente e dove le competenze emergono dall’interazione e dalla sperimentazione collettiva».
Nel contesto lavorativo contemporaneo, la capacità di costruire e mantenere una community fedele rappresenta la barriera difensiva più efficace per le aziende. Più che il controllo della scala o dei dati, è la capacità di coinvolgere un’audience attiva e co-creare significati che può garantire la sostenibilità del business nel lungo periodo. La Creator Economy e la Platform Economy dimostrano come sia fondamentale costruire una community prima ancora di pensare alla monetizzazione, creando relazioni significative e durature.
«L’esperienza di Cosmico - spiega Roversi - dimostra come questo approccio possa tradursi in valore concreto, attraverso una piattaforma che mette in contatto talenti digitali con aziende di ogni settore. Il valore aggiunto del modello Talent-as-a-Service sta proprio nell’elemento community, che diventa il cuore pulsante dell’innovazione, un laboratorio permanente in cui idee e competenze si contaminano e si trasformano in progetti concreti. Non si tratta solo di fornire risorse professionali, ma di creare un ecosistema in cui i talenti possano crescere, formarsi continuamente e contaminarsi a vicenda. Le aziende devono imparare a costruire comunità attive e partecipative, dove il sapere circola liberamente e dove le competenze emergono dall’interazione e dalla sperimentazione collettiva».
Nel contesto lavorativo contemporaneo, la capacità di costruire e mantenere una community fedele rappresenta la barriera difensiva più efficace per le aziende. Più che il controllo della scala o dei dati, è la capacità di coinvolgere un’audience attiva e co-creare significati che può garantire la sostenibilità del business nel lungo periodo. La Creator Economy e la Platform Economy dimostrano come sia fondamentale costruire una community prima ancora di pensare alla monetizzazione, creando relazioni significative e durature.
Nell’era dell’Ia, anche il valore del software proprietario è messo in discussione: con la possibilità di sviluppare soluzioni personalizzate a costi sempre più bassi, investire nel brand e nella community diventa una strategia cruciale. Questo approccio permette di mantenere una connessione diretta con il proprio pubblico, favorendo la fidelizzazione e l’innovazione continua.
Per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro, la costruzione del proprio network e della propria reputazione diventa una priorità. Scrivere, pubblicare e condividere esperienze sono attività che favoriscono la crescita professionale ben prima della fine del percorso universitario. Generare valore e contribuire a una comunità non solo aumenta la visibilità, ma apre anche opportunità concrete. In questo senso, il network conta più del curriculum, e la generosità nelle relazioni è un fattore chiave per costruire collaborazioni di valore.
Per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro, la costruzione del proprio network e della propria reputazione diventa una priorità. Scrivere, pubblicare e condividere esperienze sono attività che favoriscono la crescita professionale ben prima della fine del percorso universitario. Generare valore e contribuire a una comunità non solo aumenta la visibilità, ma apre anche opportunità concrete. In questo senso, il network conta più del curriculum, e la generosità nelle relazioni è un fattore chiave per costruire collaborazioni di valore.
Seguire mentor ispiratori e non temere di fare domande sono comportamenti fondamentali per sviluppare competenze e connessioni significative. Superare l’autosabotaggio e cogliere ogni opportunità di apprendimento sono strategie che aiutano a rimanere rilevanti in un mercato del lavoro in rapida evoluzione.
«Nell’epoca dell’intelligenza artificiale e dell’innovazione continua, anche l’Università tradizionale rischia di diventare obsoleta se non riesce a reinventarsi. Per questo si dovrebbe pensare a un nuovo modello educativo che integri studio e lavoro per tutta la vita, riconoscendo che nessuna istituzione formativa può stare al passo con il ritmo delle trasformazioni tecnologiche. La chiave è separare la formazione d’avanguardia, basata sull’autoapprendimento e sulle community on line, da un’educazione istituzionale incentrata sul “deep generalism”, pensato per riprendere l’approccio delle arti liberali, offrendo conoscenze fondamentali e trasversali come matematica, filosofia, psicologia, persuasione, marketing e vendita. L’obiettivo non è creare specialisti iper-formati, ma menti versatili, capaci di adattarsi e di interpretare la complessità del mondo contemporaneo. L’Università dovrebbe quindi stimolare la curiosità e il desiderio di esplorare, proponendo un percorso formativo che valorizzi il pensiero critico e la capacità di apprendere autonomamente. Concentrarsi su testi classici e discipline senza tempo può fornire agli studenti un metodo solido per affrontare un futuro lavorativo sempre più incerto e fluido», sottolinea il Chief Community Officer di Cosmico.
L’adozione dell’intelligenza artificiale rappresenta una sfida cruciale per le grandi aziende, soprattutto quelle caratterizzate da strutture gerarchiche e modelli manageriali tradizionali. Integrare l’Ia in modo significativo richiede un cambio di paradigma: non basta adottare nuovi tool, ma è necessario trasformare i modelli di business e rivedere i processi organizzativi. L’AI, infatti, non è solo uno strumento tecnologico, ma un linguaggio che deve permeare l’intera cultura aziendale. Le aziende all’avanguardia stanno già sperimentando modelli più agili e decentralizzati, come il “RenDanHeYi” di Haier o il “Dynamic Shared Ownership” (DSO) di Bayer, che puntano a eliminare i livelli intermedi di management per creare team piccoli, autonomi e interconnessi. In questo contesto, il talento centauro diventa una figura chiave: il professionista che sa usare l’Ia come estensione delle proprie capacità e che contribuisce a rendere l’organizzazione più dinamica e resiliente.
Questi nuovi modelli non solo riducono i costi e la burocrazia, ma rispecchiano l’evoluzione verso un modello di lavoro più simile a quello dei freelance, dove la responsabilità e l’autonomia individuale sono centrali. La tendenza alla parcellizzazione aziendale potrebbe intensificarsi ulteriormente con l’aumento delle “Individuen agency”, professionisti capaci di orchestrare forza lavoro umana e artificiale. Si prospetta quindi un futuro in cui i team si ridurranno a “one pizza team” o addirittura a team di una sola persona, capaci di collaborare e coordinare risorse interne, esterne e agenti artificiali. In questo scenario, le strutture gerarchiche tradizionali rischiano di rimanere indietro a causa della loro lentezza decisionale.
Le aziende devono quindi investire nella creazione di ambienti favorevoli all’innovazione, capaci di integrare il talento umano e le potenzialità dell’Ia in un’unica visione strategica, oltre a ripensare il proprio approccio al talento, riconoscendo che l’Ia non è un nemico, ma uno strumento per moltiplicare il valore umano. Per affrontare queste sfide, dovranno intraprendere un percorso rapido di riorganizzazione, snellendo i team e dando maggiore autonomia ai talenti più innovativi. È fondamentale riportare al centro dell’organizzazione le figure più proattive, offrendo loro un ruolo da protagonista e adottando nuovi strumenti e modalità di lavoro per garantire competitività nei prossimi dieci anni.
«Nell’epoca dell’intelligenza artificiale e dell’innovazione continua, anche l’Università tradizionale rischia di diventare obsoleta se non riesce a reinventarsi. Per questo si dovrebbe pensare a un nuovo modello educativo che integri studio e lavoro per tutta la vita, riconoscendo che nessuna istituzione formativa può stare al passo con il ritmo delle trasformazioni tecnologiche. La chiave è separare la formazione d’avanguardia, basata sull’autoapprendimento e sulle community on line, da un’educazione istituzionale incentrata sul “deep generalism”, pensato per riprendere l’approccio delle arti liberali, offrendo conoscenze fondamentali e trasversali come matematica, filosofia, psicologia, persuasione, marketing e vendita. L’obiettivo non è creare specialisti iper-formati, ma menti versatili, capaci di adattarsi e di interpretare la complessità del mondo contemporaneo. L’Università dovrebbe quindi stimolare la curiosità e il desiderio di esplorare, proponendo un percorso formativo che valorizzi il pensiero critico e la capacità di apprendere autonomamente. Concentrarsi su testi classici e discipline senza tempo può fornire agli studenti un metodo solido per affrontare un futuro lavorativo sempre più incerto e fluido», sottolinea il Chief Community Officer di Cosmico.
L’adozione dell’intelligenza artificiale rappresenta una sfida cruciale per le grandi aziende, soprattutto quelle caratterizzate da strutture gerarchiche e modelli manageriali tradizionali. Integrare l’Ia in modo significativo richiede un cambio di paradigma: non basta adottare nuovi tool, ma è necessario trasformare i modelli di business e rivedere i processi organizzativi. L’AI, infatti, non è solo uno strumento tecnologico, ma un linguaggio che deve permeare l’intera cultura aziendale. Le aziende all’avanguardia stanno già sperimentando modelli più agili e decentralizzati, come il “RenDanHeYi” di Haier o il “Dynamic Shared Ownership” (DSO) di Bayer, che puntano a eliminare i livelli intermedi di management per creare team piccoli, autonomi e interconnessi. In questo contesto, il talento centauro diventa una figura chiave: il professionista che sa usare l’Ia come estensione delle proprie capacità e che contribuisce a rendere l’organizzazione più dinamica e resiliente.
Questi nuovi modelli non solo riducono i costi e la burocrazia, ma rispecchiano l’evoluzione verso un modello di lavoro più simile a quello dei freelance, dove la responsabilità e l’autonomia individuale sono centrali. La tendenza alla parcellizzazione aziendale potrebbe intensificarsi ulteriormente con l’aumento delle “Individuen agency”, professionisti capaci di orchestrare forza lavoro umana e artificiale. Si prospetta quindi un futuro in cui i team si ridurranno a “one pizza team” o addirittura a team di una sola persona, capaci di collaborare e coordinare risorse interne, esterne e agenti artificiali. In questo scenario, le strutture gerarchiche tradizionali rischiano di rimanere indietro a causa della loro lentezza decisionale.
Le aziende devono quindi investire nella creazione di ambienti favorevoli all’innovazione, capaci di integrare il talento umano e le potenzialità dell’Ia in un’unica visione strategica, oltre a ripensare il proprio approccio al talento, riconoscendo che l’Ia non è un nemico, ma uno strumento per moltiplicare il valore umano. Per affrontare queste sfide, dovranno intraprendere un percorso rapido di riorganizzazione, snellendo i team e dando maggiore autonomia ai talenti più innovativi. È fondamentale riportare al centro dell’organizzazione le figure più proattive, offrendo loro un ruolo da protagonista e adottando nuovi strumenti e modalità di lavoro per garantire competitività nei prossimi dieci anni.
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