Perché il risiko non si fermerà a Mps-Mediobanca. E quello che conta davvero

Il destino di Generali e Bpm, le strategie di UniCredit, Intesa e Unipol: cosa si può prevedere nei salotti buoni del capitalismo italiano
September 8, 2025
Perché il risiko non si fermerà a Mps-Mediobanca. E quello che conta davvero
Reuters | Una filiale dei Monte dei Paschi di Siena
C’era una volta a Siena la banca più antica del mondo, Mps, che si trovava a un passo dal fallimento dopo aver osato troppo, e che quindi venne salvata – suo malgrado - dallo Stato. A 300 chilometri c’era invece Mediobanca, istituto con sede nel cuore di Milano e crocevia dei destini di industrie e banche italiane e non solo.
Fiaba o film dell’orrore che sia, in pochi avrebbero scommesso sul finale che si consumerà tra pochi mesi: Mps che si mangia Mediobanca. Difficile vada diversamente, perché ormai da un paio di giorni il Monte dei Paschi di Siena ha in pancia oltre il 62% delle azioni di Mediobanca, dunque la controlla.
Il 22 settembre, quando si chiuderà la prossima “finestra” dell’offerta pubblica di acquisto, l’Opa, probabilmente sarà oltre i due terzi del capitale (il 66,6%), la soglia minima con cui potrà far valere nell’assemblea dei soci il logico progetto di integrazione.
Dunque l’istituto milanese è destinato a finire dentro a Mps, epilogo quasi scontato di una vicenda intorno alla quale si incrociano le crescenti ambizioni di famiglie imprenditoriali come i Caltagirone e gli eredi Del Vecchio (tenuti insieme dal manager Francesco Milleri), l’ascesa di Roma ai danni di Milano, la sottile soddisfazione che deve provare un governo di centrodestra nell’aver conquistato un tempio della finanza attraverso una banca storicamente presidio della sinistra.
Per un paese solitamente refrattario al cambiamento com’è l’Italia, il fermento che nell’ultimo anno ha investito il mondo della finanza e delle banche in particolare (non solo Mps e Mediobanca) ha una componente in sé positiva: nessun equilibrio è per sempre, a maggior ragione in un settore in forte trasformazione come quello creditizio. Dunque ben venga il rimescolamento delle carte. Ci vorrà del tempo, però, per capire se gli assetti futuri saranno migliori di quelli passati: dipenderà da come e da chi verranno esercitati i nuovi spazi di potere e al tempo stesso dalle prossime puntate che questo risiko è destinato a riservarci.
Dove andrà Generali
Di certo è difficile che tutto si fermi qui: una volta integrata Mediobanca, una volta ridisegnato il vertice dell’istituto milanese, il Monte riceverà in dote il 13% di Generali, che vede tra i suoi soci proprio Caltagirone e i Del Vecchio, che dunque potranno contare di più, sia direttamente che da azionisti di Mps. Dove porteranno la prima compagnia assicurativa italiana? Ecco il primo nodo da sciogliere.
Il destino di Bpm
Il secondo ci riporta da Trieste a Milano, e precisamente a Bpm, l’ex popolare di Milano che nel frattempo è entrata nel capitale di Mps (con il 9%) ma che deve anzitutto tener conto dei voleri del suo primo azionista (al 20%), i francesi di Crédit Agricole: il gruppo transalpino fonderà le sue attività italiane con la banca milanese, come secondo le indiscrezioni riportate da Repubblica? Oppure lascerà l’istituto convergere su Mps-Mediobanca, andando a rafforzare il terzo polo bancario italiano? Più difficile che Bpm resti ferma in un mercato sempre più polarizzato, anche perché fuori dalla finestra c’è sempre il rischio di finire nuovamente nel mirino di UniCredit, che per mesi ha già tenuto in piedi un’Opa poi ritirata.
Le strategie di UniCredit, Intesa e Unipol
Le mosse di UniCredit, sono il terzo grande nodo da sciogliere, di cui fanno parte anche i due grandi poli bancario-assicurativi italiani: Intesa Sanpaolo e la galassia dalle radici cooperative Unipol-Bper. Finora questi ultimi due, molto più di UniCredit, si sono tenuti a distanza di sicurezza dal terremoto che si è sviluppato tra Siena, Piazzetta Cuccia e Trieste, costruendo (per linee interne Intesa e per acquisizioni Bper) una solidità che li ha messi al riparo dalle intemperie: confermeranno la strategia?
Tra Borsa e credito
Finora il risiko ha visto molti più vincitori che sconfitti, basta pensare che in un anno, mediamente, i titoli bancari quotati hanno visto crescere il proprio prezzo in Borsa del 63% e quelli assicurativi del 37,5%. Per anni considerato un campo minato, il settore oggi gode di ottima salute nei bilanci (nel 2024 gli istituti hanno toccato il nuovo record di utili, pari a 46,5 miliardi) e di buona reputazione sul mercato, dunque continuerà ad attirare appetiti e interessi dentro e fuori dall’Italia. Ma questo è il valore di Borsa. E il credito? Gli ultimi dati Abi, aggiornati a giugno, parlano di un incremento dell’ammontare dei prestiti allo 0,9% sull’anno prima, dopo che a maggio avevano visto crescere dell’1,5% quelli alle famiglie ma diminuire dell’1,4% quelli alle imprese. Bene, ma non benissimo. Eccolo il quarto nodo, senz’altro il più rilevante, che incombe sui nuovi assetti dell’industria bancaria. E sul contributo che potrà garantire alla crescita (sostenibile) di un Paese che non corre da troppo tempo.

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