Nvidia guadagna oltre le attese. Ma resta il rischio di una «bolla IA»

La società Usa registra un +59% di utili netti nel secondo trimestre e rassicura sulla tenuta dell'IA. Ma Altman avverte: "Troppo entusiasmo". E le aziende faticano ad avere ritorni
August 27, 2025
Nvidia guadagna oltre le attese. Ma resta il rischio di una «bolla IA»
Reuters |
Non c’è azienda al mondo che non aspirerebbe ai risultati di Nvidia, il gigante del tech Usa primo produttore di chip per l’intelligenza artificiale. Utili e ricavi sopra le attese degli analisti nel secondo trimestre, stando a quanto comunicato l’altra sera, hanno consentito ai vertici dell’azienda di rassicurare sulla tenuta della domanda per l’IA. Eppure c’è chi come l’amministratore delegato di OpenAI, Sam Altman, parla ormai apertamente del rischio di una “bolla" per l’intelligenza artificiale, mentre un nuovo studio di un gruppo di ricerca del Mit di Boston sostiene che l’IA abbia sì aumentato la produttività individuale dei lavoratori, ma non i ricavi delle aziende. Sullo sfondo del settore, poi, resta il braccio di ferro politico-commerciale tra Washington e Pechino, con l’amministrazione Trump che ha riaperto la porta alla vendita in Cina di alcuni chip sviluppati da Nvidia e Amd, mentre le autorità del Dragone premono sui colossi locali come Alibaba e ByteDance perché acquistino chip cinesi al posto di quelli a stelle e strisce.
Al momento, Nvidia mantiene il primato di società a più alta capitalizzazione al mondo, proprio grazie alla crescita dei suoi chip avanzati per l’IA. L'utile netto nel secondo trimestre è balzato del 59% a 25,78 miliardi di dollari, o 1,05 dollari per azione, rispetto ai 16,6 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. I ricavi sono saliti del 56% a 46,74 miliardi, oltre i 46 miliardi su cui scommetteva il mercato. Nell'annunciare i conti, il colosso dei semiconduttori ha comunicato di aver approvato un piano di acquisto di azioni proprie da ulteriori 60 miliardi. C’è spazio peraltro per un’ulteriore crescita, visto che i risultati non includono le vendite in Cina. Ciononostante, "in via generale i dati di Nvidia sono straordinari ma non leggendari e sono ridimensionati dalle elevate attese", hanno sottolineato alcuni analisti.
Gli ultimi tre mesi sono stati intensi per Nvidia. La società si è impegnata a versare al governo americano il 15% dei ricavi realizzati in Cina con la vendita dei suoi chip per l'IA, una sorta di inedita “tassa sull’export”. In cambio, ha ottenuto la licenza a esportarli nel Paese. A spingere i conti della società sono stati i ricavi delle attività di data center: sono saliti del 56% a 41,1 miliardi, anche se leggermente al di sotto delle previsioni. Il prezzo delle azioni di Nvidia, intanto, è quasi raddoppiato da aprile. "Ma la situazione cinese resta incerta: Pechino sta ora facendo pressione sulle aziende nazionali affinché acquistino chip locali, il che potrebbe erodere la quota di fatturato cinese di Nvidia", fa notare Ipek Ozkardeskaya, analista senior di Swissquote Bank.
L'amministratore delegato di Nvidia, Jensen Huang, prevede che la spesa per le infrastrutture di IA non farà che aumentare nei prossimi anni, mentre alcuni investitori si chiedono se il ritmo degli investimenti in chip e data center sia sostenibile. Il ceo di OpenAI Altman ha paragonato nei giorni scorsi quanto sta accadendo con l’IA alla bolla delle dotcom dei primi anni Duemila, quando il Nasdaq perse l’80% del suo valore in due anni mentre le aziende basate su Internet non riuscivano a trarre ricavi e profitti dai loro massicci investimenti della seconda metà degli anni Novanta. Una posizione opposta è quella di Jamie Dimon, ceo di JPMorgan Chase, secondo cui “quando abbiamo vissuto la prima bolla delle dotcom fu a causa dell’eccessiva aspettativa generata. Ma l’intelligenza artificiale non è aspettativa, l’intelligenza artificiale è una cosa vera”.
Un rapporto diffuso da Apollo Academy parla però apertamente di una “bolla IA” ancora maggiore di quella delle dotcom, con le dieci aziende principali dell’indice S&P 500 attualmente più sopravvalutate di quanto non accadesse negli anni Novanta. La stessa OpenAI, che ha sviluppato il modello ChatGPT, supera ormai ricavi per 1 miliardo di dollari al mese, ma ciononostante l'azienda resta non redditizia: la perdita attesa per quest’anno è di 8 miliardi di dollari. «Siamo in una fase in cui gli investitori, nel loro complesso, sono troppo entusiasti riguardo all’IA? La mia opinione è sì. L’IA è la cosa più importante che sia successa da molto tempo a questa parte? Anche qui, la mia opinione è sì», l’opinione, solo all’apparenza contraddittoria, di Altman.
Nonostante investimenti compresi tra i 30 e i 40 miliardi di dollari da parte delle aziende, il 95% dei progetti di IA generativa non produce alcun impatto concreto sui conti aziendali, ha sottolineato nei giorni scorsi il rapporto “State of AI in Business 2025”, realizzato dal team di ricerca Mit Nanda (Networked Agents and Decentralised AI) su oltre 300 iniziative di IA, 52 interviste aziendali e 153 questionari raccolti durante conferenze di settore. La ricerca ha messo in evidenza un chiaro divario, definito GenAI Divide: solo il 5% dei progetti pilota integrati genera valore, con ritorni nell’ordine di milioni, mentre la stragrande maggioranza resta ferma al punto di partenza, senza alcun effetto sui conti aziendali. Secondo lo studio, non sono però la “qualità dei modelli” o la “regolamentazione” i fattori determinanti, bensì l’approccio adottato dalle aziende.
Strumenti come ChatGPT e Copilot, secondo lo studio, hanno superato l’80% di adozione e raggiunto quasi il 40% di implementazione, ma incidono soltanto sulla produttività individuale, non sul margine operativo. I sistemi aziendali personalizzati, invece, vengono spesso respinti: il 60% delle aziende li valuta, ma solo il 20% arriva a testarli e appena il 5% li porta in produzione. Le ragioni principali sono la difficoltà di integrarli nei flussi di lavoro, soprattutto per la mancanza di apprendimento contestuale e la scarsa adattabilità. Un rebus che le aziende dovranno presto risolvere, pena l’ulteriore ingrossamento di quella che alcuni esperti reputano una bolla destinata a scoppiare e a bruciare miliardi.

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