Dazi, la via stretta dell'Europa (tentata dal bazooka)
Parigi chiede misure drastiche per rispondere agli Usa, con l'obiettivo di colpire i giganti del web. Roma e Berlino frenano. La Commissione: vogliamo un accordo che sia equo per tutti. E Trump ri

Dazi inaccettabili. L’Ue vuole negoziare. ma è pronta a dure contromisure. L’irritazione a Bruxelles è palpabile dopo la lettera di Donald Trump di sabato, con dazi al 30% dal 1° agosto. Una posizione netta emersa ieri alla riunione a Bruxelles dei ministri del Commercio dei 27. Anche se, almeno, ieri il presidente Usa ha fatto una piccola apertura: «Siamo sempre aperti a colloqui – ha detto -, inclusa l'Europa. E in effetti stanno venendo per discutere».
«Gli Stati membri – ha dichiarato, per la presidenza di turno Ue, il ministro danese Lars Løkke Rasmussen – trovano assolutamente inaccettabili e ingiustificati i dazi» annunciati, «l'accordo di principio era vicino, purtroppo non è stato raggiunto a causa di questa lettera. Noi vogliamo un accordo, ma deve essere equo per tutti». Tradotto: niente intese squilibrate a vantaggio degli Usa. A questo punto, ha aggiunto, «siamo pronti a continuare i negoziati, ma siamo pronti a ogni possibile scenario se non sarà trovata un’intesa soddisfacente per entrambe le parti. E questo include anche forti contromisure», sulle quali c’è «una posizione unitaria condivisa». Perché, ha concluso il danese, «a volte bisogna preparare la guerra se si vuole la pace. Noi non vogliamo una guerra commerciale con gli Usa».
Toni analoghi da parte del commissario al Commercio, Maroš Šefcovic, che ieri sera ha avuto un nuovo colloquio telefonico con le sue controparti Usa. «Eravamo vicinissimi a un accordo di principio», ha ribadito anche lui, e l’Ue continuerà a negoziare, solo che «bisogna essere in due». «Se non sarà possibile un’intesa – ha sostenuto -, tutti i ministri hanno messo in chiaro che dobbiamo proteggere posti di lavoro, imprese, cittadini e saranno necessarie misure di controbilanciamento. Sul tavolo è anche lo strumento anti-coercizione». E cioè il cosiddetto “bazooka”, che permette interventi per ridurre o bloccare flussi finanziari e investimenti o la fornitura di servizi che potrebbero colpire direttamente i big del Web e le grandi banche Usa. Una misura su cui frenano per ora Italia e Germania e chiesta invece dalla Francia.
I dubbi su un’intesa crescono, soprattutto se Washington insisterà su punti indigeribili come l’apertura in blocco ai prodotti agroalimentari Usa in deroga agli standard Ue (dalle carni agli ormoni ai polli al cloro) o sul fronte delle norme digitali. «Ho già spiegato alle mie controparti – ha sottolineato il commissario Ue – che per un accordo bisogna avere il sostegno degli Stati membri e del Parlamento Europeo». In un rapporto gli analisti della banca d’investimenti britannica Barclays pronosticano intanto un’intesa finale sotto il 30% della lettera di Trump, ma sopra il 10% su cui puntava l’Ue.
Si vedrà, certo è che a tutte le capitali è ormai chiaro che senza un accordo sarà impossibile evitare contromisure. Il negoziato resta la prima opzione, per questo domenica la riunione dei ventisette ambasciatori con la Commissione ha portato a una nuova sospensione del primo pacchetto di dazi da 21 miliardi di euro, varato in primavera in risposta a quelli Usa su acciaio e alluminio (ora al 50%), che avrebbe dovuto scattare alla mezzanotte di ieri. Adesso però la Commissione ha finalmente inviato a tutte le capitali la versione finale di un secondo pacchetto, preparato in primavera in risposta agli altri dazi, che inizialmente era di circa 95 miliardi di euro e ora è sceso a 72 miliardi (per le numerose richieste degli Stati di togliere dalla lista prodotti Usa nel timore di rappresaglie dirette). Con la sua lettera, insomma, Trump ha ricompattato i Ventisette, anche se restano sfumature diverse, con i “falchi” come anzitutto la Francia o l’Austria, che ieri ha chiesto un «terzo pacchetto» con cui prendere di mira direttamente il settore Usa del “Big Tech”.
L’Ue intanto guarda sempre più ad altri mercati. Domenica c’è stata la sigla di principio di un accordo commerciale con l’Indonesia, dopo quelle con il Mercosur, il Cile e il Messico, mentre proseguono i negoziati con l’India e le (difficili) discussioni con la Cina. D’altronde, nota Šefcovic, «tutti i principali partner commerciali degli Usa hanno ricevuto una lettera». «Se con tutti loro aumentassimo i commerci del 2,5% - chiosa Rasmussen – potremmo compensare un calo di commerci del 20% con gli Stati Uniti».
«Gli Stati membri – ha dichiarato, per la presidenza di turno Ue, il ministro danese Lars Løkke Rasmussen – trovano assolutamente inaccettabili e ingiustificati i dazi» annunciati, «l'accordo di principio era vicino, purtroppo non è stato raggiunto a causa di questa lettera. Noi vogliamo un accordo, ma deve essere equo per tutti». Tradotto: niente intese squilibrate a vantaggio degli Usa. A questo punto, ha aggiunto, «siamo pronti a continuare i negoziati, ma siamo pronti a ogni possibile scenario se non sarà trovata un’intesa soddisfacente per entrambe le parti. E questo include anche forti contromisure», sulle quali c’è «una posizione unitaria condivisa». Perché, ha concluso il danese, «a volte bisogna preparare la guerra se si vuole la pace. Noi non vogliamo una guerra commerciale con gli Usa».
Toni analoghi da parte del commissario al Commercio, Maroš Šefcovic, che ieri sera ha avuto un nuovo colloquio telefonico con le sue controparti Usa. «Eravamo vicinissimi a un accordo di principio», ha ribadito anche lui, e l’Ue continuerà a negoziare, solo che «bisogna essere in due». «Se non sarà possibile un’intesa – ha sostenuto -, tutti i ministri hanno messo in chiaro che dobbiamo proteggere posti di lavoro, imprese, cittadini e saranno necessarie misure di controbilanciamento. Sul tavolo è anche lo strumento anti-coercizione». E cioè il cosiddetto “bazooka”, che permette interventi per ridurre o bloccare flussi finanziari e investimenti o la fornitura di servizi che potrebbero colpire direttamente i big del Web e le grandi banche Usa. Una misura su cui frenano per ora Italia e Germania e chiesta invece dalla Francia.
I dubbi su un’intesa crescono, soprattutto se Washington insisterà su punti indigeribili come l’apertura in blocco ai prodotti agroalimentari Usa in deroga agli standard Ue (dalle carni agli ormoni ai polli al cloro) o sul fronte delle norme digitali. «Ho già spiegato alle mie controparti – ha sottolineato il commissario Ue – che per un accordo bisogna avere il sostegno degli Stati membri e del Parlamento Europeo». In un rapporto gli analisti della banca d’investimenti britannica Barclays pronosticano intanto un’intesa finale sotto il 30% della lettera di Trump, ma sopra il 10% su cui puntava l’Ue.
Si vedrà, certo è che a tutte le capitali è ormai chiaro che senza un accordo sarà impossibile evitare contromisure. Il negoziato resta la prima opzione, per questo domenica la riunione dei ventisette ambasciatori con la Commissione ha portato a una nuova sospensione del primo pacchetto di dazi da 21 miliardi di euro, varato in primavera in risposta a quelli Usa su acciaio e alluminio (ora al 50%), che avrebbe dovuto scattare alla mezzanotte di ieri. Adesso però la Commissione ha finalmente inviato a tutte le capitali la versione finale di un secondo pacchetto, preparato in primavera in risposta agli altri dazi, che inizialmente era di circa 95 miliardi di euro e ora è sceso a 72 miliardi (per le numerose richieste degli Stati di togliere dalla lista prodotti Usa nel timore di rappresaglie dirette). Con la sua lettera, insomma, Trump ha ricompattato i Ventisette, anche se restano sfumature diverse, con i “falchi” come anzitutto la Francia o l’Austria, che ieri ha chiesto un «terzo pacchetto» con cui prendere di mira direttamente il settore Usa del “Big Tech”.
L’Ue intanto guarda sempre più ad altri mercati. Domenica c’è stata la sigla di principio di un accordo commerciale con l’Indonesia, dopo quelle con il Mercosur, il Cile e il Messico, mentre proseguono i negoziati con l’India e le (difficili) discussioni con la Cina. D’altronde, nota Šefcovic, «tutti i principali partner commerciali degli Usa hanno ricevuto una lettera». «Se con tutti loro aumentassimo i commerci del 2,5% - chiosa Rasmussen – potremmo compensare un calo di commerci del 20% con gli Stati Uniti».
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