Ricchezza e sanità, Brasile campione (di disuguaglianze)
Il razzismo costa alla popolazione nera del Brasile 103 miliardi di reais, quasi 17 miliardi di euro

Il razzismo costa alla popolazione nera del Brasile 103 miliardi di reais, quasi 17 miliardi di euro. Questo è il saldo delle differenze di reddito tra neri e bianchi in un Paese dove il salario medio è di poco superiore ai 3 mila reais (meno di 500 euro) e quello minimo supera di poco l’equivalente di 200 euro. Il dato è emerso da una ricerca del Neri, il Nucleo di Studi Razziali dell’università di San Paolo Insper, che ha preso in esame qualsiasi forma di lavoro, anche precaria e irregolare, su un campione di persone tra i 25 e i 65 anni, che secondo l’ultimo censimento sono il 54 per cento della popolazione, circa 112 milioni di abitanti. Tra di loro, i neri non sono affatto una minoranza ed è questa una grande differenza con altri Paesi contrassegnati dalla diversità e da profonde ingiustizie nella distribuzione della ricchezza, come ad esempio gli Stati Uniti, dove i neri sono meno del 15% della popolazione. Nello Stato lusofono invece sono molti di più e sono aumentati al punto da superare i bianchi: nell’ultimo censimento il 55% dei brasiliani si è identificato come nero o comunque non bianco e nemmeno di origine asiatica o indigena (con termini ormai superati si sarebbe detto mulatto o meticcio). Si tratta dunque di 113 milioni di persone, contro gli 88 milioni di bianchi e gli 1,7 milioni di indigeni.
I neri però continuano ad essere pesantemente discriminati: sottorappresentati in Parlamento, dove non arrivano al 30% dei seggi, costituiscono invece il 70% della popolazione carceraria e addirittura, secondo uno scioccante dato pubblicato recentemente dal Cisa (Centro de Informações sobre Saúde e Álcool), muoiono molto più facilmente dei bianchi in caso di patologie relative all’abuso di alcol. A causa infatti delle disuguaglianze nell’accesso al sistema sanitario, benché il Brasile a differenza degli Usa si sia dotato di una salute pubblica sul modello europeo, a parità di consumo di alcol il tasso di mortalità di un cittadino nero è di quasi il 30% superiore a quello di un cittadino bianco, cioè 10,6 decessi ogni 100 mila abitanti contro 7,9. E alle donne va ancora peggio: se non sono bianche, hanno il doppio di eventualità di non sopravvivere, partendo dallo stesso problema.
A monte di tutto ci sono le possibilità economiche, in un Paese dove secondo il Global Wealth Report 2023 della banca Ubs, praticamente la metà della ricchezza, il 48,4%, è in mano all’1% della popolazione, il dato più alto al mondo. Al secondo posto c’è l’India col 41%, mentre gli inventori del turbocapitalismo, gli Stati Uniti, registrano “solo” il 34,3% e l’Italia, che storicamente aveva un indice di Gini molto basso, risale posizioni con il 23,1% della ricchezza in mano ad un pugno di super ricchi (più di Francia e Regno Unito, per dire).
In Brasile, come non era difficile immaginare, l’1% più ricco è costituito per l’84% da bianchi, in particolare uomini che sono il 56% del totale (28% le donne), mentre i neri sono il 16%, di cui solo il 5% donne. Le percentuali si ribaltano analizzando l’1% più povero, composto per il 50% da donne nere, e in generale per il 76% da neri, secondo i dati elaborati dall’Insper. Nel 2024, un nero in Brasile guadagna in media il 42% in meno rispetto ad un uomo bianco, quasi la metà. I ricercatori di San Paolo hanno calcolato anche il differente impatto sulla disoccupazione, che affligge il 4,8% degli uomini neri contro il 3,5% dei bianchi, e quasi l’8% delle donne nere rispetto al 5,3% delle persone del loro stesso sesso ma con un colore della pelle più chiaro.
Persino gli aumenti di salario, adeguati all’inflazione che in realtà in Brasile è bassissima (anzi ad agosto si è registrata una lieve deflazione), segnalano discriminazioni: rispetto all’anno scorso, i neri guadagnano in media un 5% in più, contro il 7% in più intascato dai bianchi. «In materia di disuguaglianze sul lavoro sarebbe importante un intervento politico – ha suggerito Alysson Portella, uno degli autori dello studio –. Nel settore pubblico, con quote nei concorsi; nel settore privato, con incentivi. Negli Stati Uniti, per esempio, le aziende fornitrici del governo federale devono avere un quota minima di lavoratori neri».
Eppure il Brasile non è del tutto indietro sulla protezione della popolazione nera e femminile. Diverse università prevedono quote per neri, indigeni, transessuali e “quilombolas” (discendenti di comunità fondate da schiavi africani); il mondo del cinema e della televisione, dove ancora prevalgono i bianchi, ha imposto una presenza minima di attori e artisti neri; e la legge contro la violenza sulle donne (ogni 15 ore nel Paese c’è una vittima di femminicidio) è tra le più avanzate del mondo. Sulla distribuzione del denaro, però, non c’è ancora verso, sebbene la lotta alle disuguaglianze e alla povertà sia da sempre una priorità del presidente Lula. Questo governo ha sì ridotto l’estrema povertà dell’85% secondo i dati dell’Onu (da 17,2 milioni di brasiliani a rischio fame nel 2022 a 2,5 milioni l’anno scorso), ma continua ad essere determinante il colore della pelle.
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