Il Papa: anche in carcere nessuno sia perduto. Per il Giubileo il dono dell’amnistia
di Giovanni Gambassi, Roma
Domenica l’ultimo evento dell’Anno Santo: la Messa per i detenuti. Da Leone XIV la denuncia del sovraffollamento delle carceri e di insufficienti progetti di recupero. «Dal terreno duro del peccato, sbocciano fiori meravigliosi. Il Giubileo offra la possibilità di ricominciare»

«Che nessuno vada perduto! Che tutti siano salvati! Questo vuole il nostro Dio». Leone XIV lo ripete con forza nell’ultimo appuntamento giubilare dell’Anno Santo 2025. Nella terza domenica d’Avvento, quella del “Gaudete”, si celebra il Giubileo dei detenuti. Messa presieduta dal Papa nella Basilica di San Pietro dove siedono i reclusi usciti con permessi speciali dal carcere per partecipare all’iniziativa dedicata a loro, gli agenti della polizia penitenziaria e i volontari che si fanno Samaritani dietro le sbarre. A tutti loro, «detenuti e responsabili del mondo carcerario», guarda il Pontefice quando rinnova l’appello di papa Francesco che auspicava «si potessero concedere, per l’Anno santo, anche “forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società” e ad offrire a tutti reali opportunità di reinserimento», dice citando il predecessore e la bolla di indizione del Giubileo. Parole per il momento non ascoltate da chi ha in mano le sorti delle nazioni. Da qui il richiamo di Leone XIV: «Confido che in molti Paesi si dia seguito al suo desiderio. Il Giubileo, come sappiamo, nella sua origine biblica era proprio un anno di grazia in cui ad ognuno, in molti modi, si offriva la possibilità di ricominciare».

Basilica affollata. E il Papa che indossa la casula rosa quella della «domenica “della gioia” che ci ricorda la dimensione luminosa dell’attesa: la fiducia che qualcosa di bello, di gioioso accadrà», afferma nell’omelia. E denuncia: «Dobbiamo riconoscere che, nonostante l’impegno di molti, anche nel mondo carcerario c’è ancora tanto da fare». Poi avverte che sono «tanti» i «problemi da affrontare». «Pensiamo al sovraffollamento, all’impegno ancora insufficiente di garantire programmi educativi stabili di recupero e opportunità di lavoro», fa sapere. Ma ci sono anche le questioni «a livello più personale»: il «peso del passato», le «ferite da medicare» ma anche «la tentazione di arrendersi o di non perdonare più».

Il Papa è consapevole che «il carcere è un ambiente difficile e anche i migliori propositi vi possono incontrare tanti ostacoli». Il rischio è che si voglia gettare la chiave delle celle, senza possibilità di riabilitazione. «Sono molti – osserva il Papa – a non comprendere ancora che da ogni caduta ci si deve poter rialzare, che nessun essere umano coincide con ciò che ha fatto e che la giustizia è sempre un processo di riparazione e di riconciliazione». Del resto, incoraggia Leone XIV, anche «dal terreno duro della sofferenza e del peccato, sbocciano fiori meravigliosi e anche tra le mura delle prigioni maturano gesti, progetti e incontri unici nella loro umanità. Si tratta di un lavoro sui propri sentimenti e pensieri necessario alle persone private della libertà, ma prima ancora a chi ha il grande onere di rappresentare presso di loro e per loro la giustizia». Il Pontefice chiama in causa chi è chiamato a governare gli Stati. Perché «il Giubileo è una chiamata alla conversione e proprio così è motivo di speranza e di gioia». E ricorda che i «miracoli avvengono», sia con gli «interventi straordinari di Dio», ma «più spesso essi sono affidati a noi, alla nostra compassione, all’attenzione, alla saggezza e alla responsabilità delle nostre comunità e delle nostre istituzioni».
Leone XIV evoca Paolo VI per invitare alla «profezia»: quella che deve tradursi in «impegno a promuovere in ogni ambiente – e oggi sottolineiamo particolarmente nelle carceri – una civiltà fondata su nuovi criteri, e ultimamente sulla carità». È «la civiltà dell’amore», afferma il Papa. E richiama il Natale che si avvicina: «Anche di fronte alle sfide più grandi non siamo soli: il Signore è vicino, cammina con noi e, con Lui al nostro fianco, sempre qualcosa di bello e gioioso accadrà».

All’Angelus, di fronte all’albero di Natale ancora in via di ultimazione in una piazza San Pietro affollata, il Papa ricorda che Cristo «dà parola agli oppressi, ai quali violenza e odio hanno tolto la voce; Egli vince l’ideologia, che rende sordi alla verità; Egli guarisce dalle apparenze che deformano il corpo». E sottolinea che «in questo tempo d’Avvento siamo chiamati a unire l’attesa del Salvatore all’attenzione per quello che Dio fa nel mondo». Da qui l’invito: «Gioiamo, dunque, perché Gesù è la nostra speranza soprattutto nell’ora della prova, quando la vita sembra perdere senso e tutto ci appare più buio, le parole ci mancano e fatichiamo ad ascoltare il prossimo».
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