giovedì 9 gennaio 2020
Stamani l'atteso incontro con l'intervento più geopolitico dell'anno di Bergoglio, tra prudenza diplomatica e richiamo alla verità dei fatti e ai diritti delle persone e dei popoli
Un'udienza di papa Francesco con il corpo diplomatico in Vaticano

Un'udienza di papa Francesco con il corpo diplomatico in Vaticano - Foto di archivio Ansa / Osservatore Romano

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Le notizie di guerra che provengono dal Medio Oriente e dal Nord Africa rendono ancora più atteso il discorso che oggi papa Francesco rivolge al Corpo diplomatico. Il più “geopolitico” dell’anno. Attesa giustificata anche dal fatto che, come sottolineato da padre Antonio Spadaro nell’ultimo fascicolo della Civiltà Cattolica, papa Francesco sotto il profilo diplomatico «si assume la responsabilità di posizioni rischiose», sposando «la tradizionale cautela diplomatica» con «l’esercizio della parresía, fatta di chiarezza e talvolta di denuncia».

L’incontro di questa mattina arriva in un momento di particolare difficoltà per la diplomazia multilaterale, mentre la Santa Sede rimane ferma nel ritenerla imprescindibile per una soluzione equa dei conflitti internazionali. Tanto che nella riforma della Curia allo studio è prevista la figura di un secondo sottosegretario ad hoc per queste tematiche nella Seconda sezione della Segreteria di Stato, la Farnesina vaticana.

Nel corso del 2019 poi la Santa Sede ha allargato il numero dei propri osservatori permanenti nelle organizzazioni internazionali governative, nominandone uno presso l’Organizzazione degli Stati americani (Oas) di Washington, dopo quelli già presenti nelle sedi Onu di New York e Ginevra, e all’Osce a Vienna. Nell’anno passato poi la Santa Sede ha aderito anche all’Organizzazione del mercato comune per l’Africa Est e per l’Africa australe con sede a Lusaka in Zambia.

Nel campo delle relazioni bilaterali la Santa Sede intrattiene ormai pieni rapporti diplomatici con quasi tutti gli Stati dell’orbe.

Nel 1900 questi Paesi erano appena una ventina, nel 1978 ammontavano già a 84 e nel 2005 erano 174. Con Benedetto XVI sono arrivati a 180 e con papa Francesco sono diventati 183.

Gli ultimi Stati ad allacciare pieni rapporti con Oltretevere sono stati il neonato Sud Sudan (2013), la Mauritania (2016) e Myanmar (2017). Nel 2016 poi le “relazioni speciali” intrattenute con lo Stato di Palestina - definito così ufficialmente dalla Santa Sede successivamente alla risoluzione Onu 67/19 del novembre 2012 che gli ha concesso lo status di osservatore permanente - sono diventati rapporti diplomatici a pieno titolo dopo l’entrata in vigore dell’Accordo globale firmato nel giugno 2015. La Santa Sede ha poi legami diplomatici con l’Unione Europea e l’Ordine di Malta.

Tra i Paesi con cui la Santa Sede ha rapporti diplomatici c’è anche la Cina-Taiwan dove però dal 1979 non risiede più un nunzio, ma un semplice “incaricato d’affari ad interim”.

Nei colloqui in corso con la Cina che hanno portato allo storico accordo provvisorio e parziale sulle nomine episcopali del settembre 2018, non sembra sia stata ancora affrontata la questione dei rapporti diplomatici. Anche se alla Santa Sede non dispiacerebbe poter aprire un ufficio informale a Pechino. Nel frattempo una rappresentanza risiede stabilmente nella cosiddetta “missione di studio” a Hong Kong, che figura formalmente collegata alla nunziatura delle Filippine (nell’Annuario Pontificio, a partire dal 2016, viene comunque indicato, in nota, il recapito reale di questa “missione”).

La Santa Sede non intrattiene ancora relazioni con dodici Stati, perlopiù asiatici e in buona parte a maggioranza islamica. In otto di questi Paesi non è presente nessun inviato vaticano (Afghanistan, Arabia Saudita, Bhutan, Cina popolare, Corea del Nord, Maldive, Oman, Tuvalu). Mentre sono in carica dei delegati apostolici (rappresentanti pontifici presso le comunità cattoliche locali ma non presso i governi) in altri quattro Paesi: due africani (Comore e Somalia) e due asiatici (Brunei e Laos).

Un caso particolare è quello del Vietnam, con il quale sono iniziate formalmente le trattative per arrivare a pieni rapporti diplomatici e, a questo fine, nel 2011 è stato nominato un rappresentante vaticano non residenziale presso il governo di Hanoi. Un dispaccio di Ucanews di fine dicembre ha comunque rivelato che proprio per l’anno appena iniziato sarebbe prevista la creazione di una nunziatura stabile in Vietnam.

Per quanto riguarda il Kosovo, il cui riconoscimento avverrà quando il suo status internazionale sarà meno controverso, la Santa Sede si è per ora limitata a nominare un delegato apostolico nella persona del nunzio in Slovenia. Così quando il presidente kosovaro nel 2016 e 2017, il premier nel 2018 e il ministro degli esteri nel 2019 sono stati ricevuti dal Papa, le udienze sono state private e quindi non pubblicate su L’Osservatore Romano.

Attualmente sono una novantina le cancellerie di ambasciate con sede a Roma, comprendendo anche quelle dell’Unione Europea e dell’Ordine di Malta. I Paesi rimanenti sono rappresentati in genere da diplomatici residenti in altre capitali europee.

La Santa Sede infatti non accetta ambasciatori accreditati anche presso il Quirinale. Con papa Francesco sono diventati “residenti” gli ambasciatori “non residenti” di Armenia, Belize, Ghana, Palestina, Malaysia e Sud Africa.

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