sabato 30 settembre 2023
A scoprire l’immagine del parroco martire è stato un suo cugino di 103 anni, anch’egli sacerdote. L’urna con le reliquie portata invece da quattro giovani preti freschi di ordinazione
L’immagine del nuovo beato don Beotti e l’urna, durante il rito di beatificazione celebrato a Piacenza

L’immagine del nuovo beato don Beotti e l’urna, durante il rito di beatificazione celebrato a Piacenza - Diocesi di Piacenza

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È stato il cugino don Olimpio Bongiorni, 103 anni, a svelare simbolicamente, questo sabato, nella Cattedrale di Piacenza il dipinto del nuovo beato don Giuseppe Beotti, ucciso il 20 luglio 1944 dai nazisti a Sidolo di Bardi e riconosciuto martire in “odium fidei”. Il sacerdote più anziano della diocesi, entrato in Seminario proprio in forza della sua testimonianza. E quattro di recente ordinazione a portarne in processione l’urna con le reliquie, che da domani sarà custodita nella chiesa di Gragnano Trebbiense, dove è maturata la sua vocazione.

Don Giuseppe Beotti ha incarnato il Buon Pastore della parabola evangelica, che «non dà solo il pascolo al suo gregge, ma offre se stesso come cibo», ha richiamato il cardinal Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, nell’omelia della Messa con il rito di beatificazione, concelebrata dal vescovo di Piacenza-Bobbio Adriano Cevolotto e dal vescovo emerito Gianni Ambrosio. E non a caso il Vangelo scelto è stato quello del Buon Pastore, lo stesso della Messa d’ingresso di don Beotti come parroco di Sidolo, il 21 gennaio 1940.

Minuto e di salute cagionevole, cresciuto in una famiglia povera – tanto che, per aiutare i genitori a pagare la retta del Seminario, quando tornava per le vacanze si abbassava a chiedere l’elemosina tra il vicinato – ha saputo «trasformare la sua povertà in ricchezza di dono, specialmente per chi alla povertà univa altri gravi disagi». Fraternitas amor in domo mea semper: la frase che fece scrivere sulla canonica era un manifesto programmatico. Molti dicevano di lui che aveva le tasche buche, perché ai poveri dava tutto. Emblematico l’aneddoto svelato dal cardinale Semeraro, raccolto nei documenti del processo: dopo l’8 settembre 1943, sul treno Piacenza-Parma, per aiutare un soldato, ancora in divisa da alpino, approfittando della talare gli cedette i pantaloni e scambiò le scarpe, tornando a Sidolo con gli scarponi militari. Il suo atto più eroico fu però la carità pastorale verso gli ebrei, molti provenienti dall’ex Jugoslavia. Ne accolse un centinaio, aiutandoli a fuggire in Svizzera. Per i nazisti, un crimine punibile con la morte, come dimostra la vicenda degli sposi polacchi Josef e Wiktoria Ulma, uccisi il 24 marzo 1944 con gli otto ebrei che avevano ospitato e con i loro sette bambini e proclamati beati il 10 settembre scorso.

«Dopo venti giorni – ha sottolineato il cardinale Semeraro, che ha presieduto anche la cerimonia di beatificazione svoltasi in Polonia – ecco che la Chiesa ha un altro beato che ha praticato l’ospitalità ed ha aiutato chi era maltrattato, quasi che fosse suo compagno di patimenti».

L’ospitalità è la cifra del ministero di don Giuseppe fino all’ultimo. A Sidolo trova rifugio il chierico Italo Subacchi, orfano, sfollato dal Seminario di Parma. La vigilia del martirio, in canonica è accolto il parroco di Porcigatone don Francesco Delnevo. Poco prima, don Beotti aveva aperto la porta a otto giovani borgotaresi, disertori della Repubblica Sociale. All’alba del 20 luglio aveva fatto il giro della case per chiedere pane e sfamarli, un gesto dal valore simbolico – ha fatto notare il cardinal Semeraro – perché indica «l’unità tra esercizio del sacro ministero nella divina liturgia e impegno quotidiano della vita». Forse, proprio quella distribuzione mattutina, sul sagrato, intercettata dai tedeschi, fa precipitare gli eventi: la perquisizione, la lunga sosta sotto il sole, la fucilazione, a poche centinaia di metri dalla chiesa, con don Francesco e Italo, alle tre del pomeriggio. Altro dettaglio non casuale.


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