giovedì 5 febbraio 2015
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José María del Corral non può scordare l'immagine dell'arcivescovo con la pala in mano. Era il 29 marzo 2000, una bella mattina di fine autunno (australe). Jorge Mario Bergoglio aveva convocato in Plaza de Mayo una folla di differenti fedi e culture. E soprattutto loro: alunni e docenti di vario ordine e grado. Sotto quegli occhi divertiti, il cardinale avrebbe piantato, pochi minuti dopo, l'ulivo della pace. Una pace disse, rivolto a educatori ed educandi, che è flusso creativo di vita e speranza. Quel giorno, l'allora arcivescovo Bergoglio piantò, insieme all'albero, il primo seme delle "escuelas de vicinos", scuole di quartiere, le potremmo definire. Luoghi di incontro – afferma del Corral, primo collaboratore dell'arcivescovo nel progetto –, in cui studenti di istituti pubblici, privati, cattolici e di altre religioni, si confrontano sui piccoli e grandi temi riguardanti la città, il Paese e il mondo. Nei successivi 15 anni, molte cose sono cambiate. Il cardinal Bergoglio ha lasciato Buenos Aires per Roma, dove è diventato Francesco. E dalle "escuelas de vecinos" argentine sono nate le "Scholas Occurrentes" o "scuole per il dialogo", promosse dalla Pontificia Accademia delle scienze e diffuse in quindici Paesi. Anche stavolta, in prima linea nell'iniziativa c'è del Corral, direttore dell'istituto San Martín de Tours della capitale, teologo, formatore, con alle spalle anni di tirocinio nelle baraccopoli argentine. È stato Francesco a volerlo, fin dall'inizio, quando, nell'agosto 2013, propose l'idea. O, meglio, lanciò un «piano di salvataggio» per una «generazione a rischio scarto». Situati ai margini del sistema produttivo e politico, i ragazzi sono confinati in un eterno presente senza prospettive né domani. Allo stigma generale, si aggiungono forme di esclusione specifiche, dovute alla povertà, a disabilità fisiche e mentali, al razzismo, al pregiudizio. Tra le pareti delle aule scolastiche si riproducono le medesime fratture che soffocano l'attuale società. Per questo papa Francesco ha proposto di abbattere i muri e aprire le porte. Il risultato è una rete internazionale di scuole – pubbliche, private, confessionali e non – dei cinque Continenti. Una "aula-mondo" dove giovani di ogni cultura e religione si scambiano, virtualmente, esperienze, si confrontano, imparano a convivere. «Le "Scholas" sono laboratori della cultura dell'incontro. Il loro obiettivo è cambiare il mondo attraverso un'educazione inclusiva, lo sport, l'arte», spiega del Corral, a Roma per la quarta edizione del Congresso mondiale delle "Scholas". L'evento – a cui hanno partecipato trecento tra pedagogisti, docenti, rettori universitari,  studenti, intellettuali, artisti, imprenditori – è stato concluso dall’intervento del Papa. Delle "Scholas", al momento, fanno parte circa 400mila istituti: l'Onu – che, ad ottobre, si è detto molto interessato al progetto – l'ha definita la maggior rete scolastica del pianeta. Aderire è facile: è sufficiente che il direttore di un determinato istituto lo accrediti sul sito www.scholasoccurrentes.org, impegnandosi a condividere con gli altri «progetti, illusioni, utopie», ha spiegato del Corral a Radio Vaticana. «Eppure siamo partiti senza budget né struttura. In "stile Francesco" – conclude del Corral –. Il fatto è che c'è molta richiesta. Ovunque vada, ci sono persone interessate. Perfino una detenuta di un carcere minorile di San Salvador mi ha esortato ad andare avanti per aiutare gli altri giovani, fuori». Passo dopo passo, dunque, la rete cresce. Ora, su richiesta di Unicef, le Scholas realizzeranno vari progetti in America Centrale. E, a breve, verrà aperta la terza sede, in Mozambico, dopo quelle in Vaticano e a Buenos Aires.

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