giovedì 26 ottobre 2023
La giornata indetta da Francesco per la Terra Santa e tutti i luoghi del mondo feriti da guerre e violenze. Suor Adele Brambilla, missionaria in Medio Oriente: vi spiego questo invito
Due donne si abbracciano dopo i bombardamenti nella Striscia di Gaza

Due donne si abbracciano dopo i bombardamenti nella Striscia di Gaza - Ansa

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«I popoli arabi hanno un senso profondo e innato di Dio e della preghiera. Lo vedo tra i musulmani come tra i cristiani, dove incontro uomini e donne di fede che vivono nella preghiera incessante, nell’apertura alla volontà di Dio. L’invito di papa Francesco a pregare e digiunare per la pace è in sintonia con questo modo di essere, con questo dono che abita le genti del Medio Oriente. E pregare e digiunare è quello che faremo, accogliendo l’invito del Papa e le parole del nostro patriarca, Pierbattista Pizzaballa: in questo tempo in cui siamo “inondati da immagini di orrore”, come ha scritto il patriarca, di fronte alle atrocità, alla sofferenza e alla morte degli innocenti, nel popolo giordano il dolore e lo sgomento si fanno sempre più acuti. Ma a tutto questo vogliamo rispondere con la preghiera, uniti fra noi, nell’affidamento a Dio, perché sorgano pensieri e progetti di pace e giustizia». Parla con voce vibrante, suor Adele Brambilla, missionaria comboniana, nata a Milano nel 1949, in Giordania dal 1984 al 1996 e – dopo essere stata chiamata a Roma a prestare servizio come superiora generale – dal 2011 nuovamente in Giordania. In questi giorni è in Italia – sabato scorso era a Brescia dove ha ricevuto il Premio Cuore Amico, il “Nobel” dei missionari – ma il suo cuore batte per quei popoli, per quella martoriata Terra Santa, dove a breve farà ritorno.

«Dal 1984 al ’96 ho prestato servizio ad Amman, in un ospedale affidato alla nostra congregazione. Nel 2011 sono tornata in Giordania a fare l’infermiera, stavolta all’Italian Hospital di Karak, al sud, nella parte più povera del Paese – racconta la religiosa –. Questo ospedale, di proprietà dell’Associazione nazionale soccorso missionari italiani, è gestito da noi suore comboniane secondo il carisma del nostro istituto che è l’evangelizzazione rivolta ai più poveri ed esclusi. E in queste terre si attua soprattutto con la testimonianza di carità: la carità di Cristo che si china innanzitutto sugli ultimi e gli emarginati. La nostra presenza è sostegno alla piccola comunità cristiana – che va aiutata a sopportare le fatiche della sua condizione e ad alimentare la speranza: che cosa sarebbero la Terra Santa e il Medio Oriente senza i cristiani? Ed è presenza orientata alla cura e all’accoglienza di tutti, senza distinzioni di fede e nazione, come impariamo dallo stesso popolo giordano che nella sua storia ha aperto le sue porte a moltitudini di profughi – i palestinesi nel 1948, dal 1991 gli iracheni, dal 2011 i siriani».

Accoglienza: «e senso di giustizia – aggiunge la religiosa –. Tutti hanno accesso al mio cuore, diceva san Daniele Comboni, il nostro fondatore. E al nostro ospedale tutti, giordani e profughi, sono accolti e trattati allo stesso modo. A questo stile formiamo il nostro personale. All’Italian Hospital prestano servizio quattro suore comboniane – tre italiane e una filippina – e 85 operatori sanitari, il 15% cristiani, gli altri musulmani. A questi si aggiungono altre figure, come i medici e i fisioterapisti inviati dal “Bambino Gesù” di Roma nell’ambito di un progetto di collaborazione avviato nel 2013 nel campo della neuroriabilitazione psichiatrica infantile per bambini cerebrolesi e autistici, che ha visto realizzare più di trenta missioni. Tutto questo ha dato origine a incontri molto belli, ad un arricchimento reciproco tra persone di culture e fedi diverse», testimonia suor Brambilla: «qui il dialogo interreligioso non è teoria, è dialogo di vita. Ed è dialogo di vita l’evangelizzazione, il Vangelo testimoniato nella quotidianità, vissuto nella carità, nella giustizia, nella comunione». Ecco: «In Giordania come in altri Paesi dove siamo presenti, noi suore comboniane riceviamo moltissimo da questi popoli. Sono loro, i nostri maestri sulle vie dell’evangelizzazione».

La Giordania, in particolare, si offre quale scuola di accoglienza: «è un’oasi di pace, da sempre ospitale, tra Paesi in guerra. Ha il dono squisito di farti sentire a casa – assicura suor Brambilla –. Ma è un popolo povero, che ha saputo accogliere 1,4 milioni di profughi ed è arrivato al limite delle sue possibilità, come ha detto il re Abdallah all’Onu chiedendo alla comunità internazionale di non dimenticare i profughi siriani». Come la Giordania incontra difficoltà crescenti a vivere questa sua vocazione all’ospitalità, così l’Italian Hospital fa sempre più fatica ad accogliere e curare tutti secondo la sua missione – una missione sempre sostenuta negli anni da tanti benefattori istituzionali e privati.

Di fronte all’escalation di violenza e guerra che è tornata a straziare la Terra Santa, «fra noi crescono dolore e sgomento. Il popolo giordano, che in maggioranza è di origine palestinese, vive tutto questo con una fortissima partecipazione affettiva». In questo scenario sono preziose parole di verità come quelle appena offerte in una lettera alla diocesi dal patriarca di Gerusalemme dei Latini, il cardinale Pizzaballa, che suor Brambilla rilancia: «è solo ponendo fine a decenni di occupazione, e alle sue tragiche conseguenze, e dando una chiara e sicura prospettiva nazionale al popolo palestinese che si potrà avviare un serio processo di pace». «Condanniamo ogni violenza – conclude la religiosa – e ci uniamo nella preghiera perché Dio ci doni il coraggio dell’amore, della pace, della giustizia e della riconciliazione».

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