mercoledì 6 dicembre 2017
Il primo Discorso alla città e alla diocesi dell'arcivescovo di Milano, Mario Delpini, durante i Primi Vespri per la solennità del patrono sant'Ambrogio
L'arcivescovo di Milano, Mario Delpini, durante i Primi Vespri per la festa di sant'Ambrogio

L'arcivescovo di Milano, Mario Delpini, durante i Primi Vespri per la festa di sant'Ambrogio

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Costruire il buon vicinato è un’arte. Che nasce da uno «sguardo contemplativo» sulla città. E chiama all’alleanza tutti quanti «apprezzano la grazia di vivere nello stesso territorio». L'arcivescovo di Milano, Mario Delpini, pronuncia il suo primo Discorso alla città e alla diocesi durante i Primi Vespri per la solennità del patrono sant'Ambrogio che la metropoli e l'arcidiocesi celebrano il 7 dicembre. Lo fa questo pomeriggio nella Basilica di Sant'Ambrogio. Nella sua riflessione sottolinea che tutti possono fare qualcosa per «la costruzione della convivenza fraterna». Anche il singolo cittadino. Anche il singolo fedele. Magari riscoprendo e attualizzando, nelle concrete circostanze della propria vita, l’antica «regola delle decime», attestata nella Bibbia, che «invita a mettere a disposizione della comunità in cui si vive la decima parte di quanto ciascuno dispone». Una logica ancor più feconda se «proiettata anche sui corpi sociali e sulle azioni che regolano la costruzione della Milano e della Lombardia del domani». Così «la società si fa comunità». Cercando di superare la «desolazione registrata dalla parola» del poeta Eugenio Montale quando scriveva: Milano è un enorme conglomerato di eremiti».

«Per un’arte del buon vicinato. Se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? (Mt 5,47)», è il titolo del primo Discorso alla città e alla diocesi del nuovo arcivescovo di Milano, Mario Delpini. A questa celebrazione sono invitati, in particolare, i sindaci del territorio ambrosiano e le autorità, assieme agli esponenti delle «famiglie internazionali», che Delpini incontra prima del rito. Ed è con un incalzante «elogio dei rappresentanti delle istituzioni dediti alla prossimità», quelli che «si fanno carico della promozione del bene comune» e «della pace sociale», che si apre il Discorso dell’arcivescovo. Parole controvento, in tempi di «scetticismo, risentimento e disprezzo» verso le istituzioni, la politica, i corpi sociali. Dai sindaci alle forze dell’ordine, dal mondo della scuola a quelli della sanità e del sociale, fino ai volontari che aiutano i clochard: tutti vuole ricordare, Delpini, tessendo «l’elogio degli onesti e dei competenti, dei generosi e dei coraggiosi», e chiamando gli «altri», i giovani, i pensionati «in piena efficienza» a rimboccarsi le maniche.

Il modello? Delpini lo addita nell’esordio del Discorso: Ambrogio. Funzionario pubblico. E poi vescovo. Nella scia del patrono, la Chiesa vuole promuovere pace e unità anche oggi. Ecco, allora, Delpini «formulare a nome della comunità cristiana e della Chiesa ambrosiana», la «proposta» di «un’alleanza», convocando «tutti per mettere mano all’impresa di edificare in tutta la nostra terra quel buon vicinato che rassicura, che rasserena, che rende desiderabile la convivenza dei molti e dei diversi, per cultura, ceto sociale e religione». Una proposta che trova ispirazione e fondamento in Evangelii gaudium 71: «Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze», scrive papa Francesco. Costruire buon vicinato è «impresa comune di cittadini e istituzioni, di fedeli e pastori della comunità cristiana e delle altre religioni», riprende Delpini: «una impresa corale che riconosce il contributo di ciascuno e chiede a ciascuno di non vivere la città come servizi da sfruttare o pericoli da temere, ma come vocazione a creare legami».
È al servizio di questa vocazione che si devono impegnare la politica e le istituzioni, tanto più in una società «ammalata» di individualismo, esposta «al rischio di essere sterile, senza bambini e senza futuro», e dove tutti sono più soli e manipolabili. Ecco, allora, la necessità di ridefinire lo stato sociale, il welfare state, «quale welfare relazionale, comunitario, generativo e rigenerativo», suggerisce Delpini riflettendo sugli articoli 2 e 3 della Costituzione italiana.

Attenzione: «Le istituzioni possono propiziare le condizioni, ma il buon vicinato è frutto di un’arte paziente e tenace, quotidiana e creativa. La parola di Gesù, che invita i suoi discepoli a farsi protagonisti dell’edificazione della fraternità oltre la carne e il sangue, indica un percorso che affascina e impegna tutti gli uomini e le donne di buona volontà: "se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario?"». Ecco, allora, l’elogio del «gesto minimo», che riconosce e realizza il «bene possibile» rispondendo alle sfide di questo tempo di cambiamenti. L’arte del buon vicinato «comincia con uno sguardo» aperto all’incontro e alla prossimità, come quello fra Gesù e Zaccheo; «pratica volentieri il saluto e l’augurio, il benvenuto e l’arrivederci» (che dovrebbero essere «doverosi» per i cristiani «abituati a scambiarsi il segno della pace durante la Messa»); si esprime in piccole premure «provvidenziali» per chi è solo, anziano, malato; ed è «fantasiosa nel creare occasioni per favorire l’incontro». Ecco, quindi, la proposta di riscoprire la «regola delle decime», sul piano personale (un esempio: sei studente o insegnante? Ogni dieci ore di studio, dedicane una a chi fa fatica a studiare) come su quello sociale (dal lavoro all’economia all’urbanistica).
La comunità cristiana «si mette volentieri a servizio per promuovere quest’arte del buon vicinato», come accade quotidianamente fra parrocchie e oratori, Caritas e centri di aiuto alla vita. La Chiesa ambrosiana fa e farà la sua parte. Come conferma il Sinodo minore «da poco avviato» in diocesi, conclude Delpini, «il cui scopo – come espresso bene dal titolo "Chiesa dalle genti" – è favorire una Chiesa che nel suo quotidiano sappia essere sempre più accogliente e capace di unità, mostrando come Dio ci rende un popolo solo, guarendo le paure che seminano diffidenza e donandoci la gioia che genera comunione e solidarietà».

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