mercoledì 17 aprile 2019
Dopo l'udienza del mercoledì il commovente incontro con due coniugi che nel "naufragio dei bambini" dell'11 ottobre 2013 persero 4 figlie, e con altri padri che hanno perso figli e mogli.
Un barcone naufragato a Lampedusa (Ansa)

Un barcone naufragato a Lampedusa (Ansa)

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Li ha presentati, a uno a uno, a papa Francesco, dopo l'udienza generale, "perché le loro storie di grande dolore sono anche una testimonianza di speranza": suor Genevieve Jeanningros - a sua volta testimone diretta di sofferenza come nipote di suor Leonie Duquet, desaparecida nel 1977 in Argentina - parla con un filo di voce "per rispetto del dolore di queste persone, tutte siriane, che hanno vissuto la terribile esperienza di veder morire i loro familiari nel naufragio di un barcone nel Mediterraneo, avvenuto l'11 ottobre 2013".

Quel giorno un peschereccio, partito dalle coste libiche, con cinquecento persone a bordo si è capovolto: 212 sopravvissuti, 26 cadaveri recuperati e tragicamente 268 dispersi, tra cui 60 giovanissimi. Tanto che è chiamato "il naufragio dei bambini". Famiglie spezzate, riferisce l'Osservatore Romano. E così ecco, stamani in piazza San Pietro, la carezza di Francesco a Wahid Hasan Yousef e Hashash Manal, marito e moglie, profughi curdi di Aleppo, che in quel terribile naufragio hanno perso quattro figlie: avevano due, cinque, sette e dieci anni. Ufficialmente sono disperse e i genitori sperano "che, non si sa come e dove, si siano salvate". Wahid è fuggito dalla guerra in Siria: faceva il cardiochirurgo e ora vive da disoccupato in Svizzera.

Poi, con delicatezza, il Papa ha stretto paternamente la mano a Refaat Hazima, profugo di Damasco, che sempre nello stesso naufragio ha perso due bambini di otto e undici anni.

E, ancora, Francesco ha voluto esprimere la propria vicinanza spirituale a Hatem Shaaban, profugo siriano di Idlib, che in quella tragedia nel mar Mediterraneo ha perso la moglie - "si chiamava Farida Kafrentouni ed è morta davanti ai miei occhi colpita da una trave" - e due bambini di due e cinque anni, uno dei quali, confida, è sepolto nel cimitero di Mazarino, in provincia di Caltanissetta. Sbarcato a Malta con il figlio Haidar, Hatem è riuscito a ricongiungersi con l'altro piccolo superstite della famiglia, Abdulkarim, arrivato a Porto Empedocle e rimasto in un centro di accoglienza, da solo, per un mese.

Ad accompagnare questo gruppo che racconta una delle tragedie più grandi dei nostri tempi, anche Yasemin Kaya, artista curda, impegnata nel campo della mediazione linguistica e culturale, e Arturo Salerni, presidente del comitato Verità e giustizia per i nuovi desaparecidos, istituito nel 2014 per chiedere giustizia per tutti i migranti che hanno perso la vita cercando di raggiungere l'Europa.

I sopravvissuti alla "strage dei bambini" si trovano a Roma perché il prossimo 10 giugno a Roma ci sarà l'udienza preliminare e il Gup Bernadette Nicotra dovrà decidere se rinviare a giudizio Luca Lucciardi, ufficiale della Marina responsabile della Sala Operativa e di Leopoldo Nanna, capo della Centrale Operativa della Guardia Costiera.

Entrambi sono indagati per omicidio colposo plurimo: l'accusa è di aver ritardato l'intervento della nave militare italiana Libra. Licciardi è indagato anche per rifiuto di atti d'ufficio. "La nave era già quattro ore prima del naufragio del peschereccio - ha spiegato l'avvocato Arturo Salerni che rappresenta superstiti e familiari delle vittime nel corso di una conferenza stampa alla stampa Estera - a sole 27 miglia marina dal peschereccio in difficoltà e avrebbe potuto intervenire prestando soccorso e salvando molte vite. Il peschereccio si capovolse a circa 50 miglia nautiche a sud di Lampedusa e a 180 migliaia da Malta". L'avvocato ha ricordato che l'inchiesta parte da un esposto alla Procura della Repubblica di Palermo presentato dal giornalista del settimanale
L'Espresso Fabrizio Gatti.

I superstiti, che sull'imbarcazione avevano un telefono satellitare, hanno detto di aver "più volte chiamato" la Guardia Costiera italiana ma i soccorsi subirono "molti ritardi anche perché le autorità italiane erano convinte che la competenza fosse maltese". E lo stesso convincimento venne espresso dalla guardia costiera maltese.

Wahid Hasa Yousef ha raccontato l'assalto della motovedetta libica al peschereccio, delle molte raffiche di mitra sparate per fermare l'imbarcazione che ferirono tre persone e danneggiarono lo scafo facendogli imbarcare acqua. Ma soprattutto ha spiegato che i naufraghi aspettarono "i soccorsi inutilmente dalle 12 fino alle 17.07 quando l'imbarcazione si capovolse" e quasi trecento persone morirono.

I sopravvissuti si augurano che dopo anni di attesa si svolga il processo e chiederanno di costituirsi parte civile. "Altrimenti - ha detto l'avvocato - faremo un ricorso alla Corte Europea".

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