Sono morto da sei anni: lo dice la mia lapide digitale

Un giornalista di Avvenire, a sua insaputa, scopre di essere scomparso, per la rete, dal 2019. Come ricostruire una vicenda che ci vede coinvolti, risolvere il caso e sorriderne almeno un po'
August 10, 2025
Sono morto da sei anni: lo dice la mia lapide digitale
Paolo Viana
Una volta si diceva “lo ha detto la tv”. Mutatis mutandis, vale lo stesso per il web. Se qualcosa avviene lo certifica Google. Per questo, fa un certo effetto scoprire di esser morti da sei anni. Mi è successo ieri. Non di morire, ma di imbattermi - novello Mattia Pascal - nella mia lapide digitale. Quasi sepolta dalle erbacce dell’algoritmo, ma pur sempre conservata nella memoria indelebile dei motori di ricerca, grazie al fatto che la mia scomparsa è stata registrata da una fonte autorevole della rete, assicurandomi la memoria eterna dei navigatori.
La mia dipartita sarebbe avvenuta prima del luglio 2019. A mia insaputa, naturalmente. E ad insaputa dei miei amici, sodali, colleghi e parenti, che non si sono degnati di farmi le condoglianze. Devo sentirmi come Scrooge? Ci rifletterò. Sicuramente, sopravvalutiamo le capacità informative del Web: non basta dare una notizia su un sito perché tutti lo sappiano. Il che, sia chiaro, può avere dei vantaggi. Ad esempio, il fatto che l’intelligenza artificiale non sia ancora stata implementata nella gestione delle buste paga della società editoriale per cui lavoro ha fatto sì che lo stipendio continuasse ad essere versato sul conto corrente del de cuius. Scherzi a parte, vediamo come un errore di battitura può cambiare la piccola storia digitale delle persone.
Scrive Quotidiano Sanità del 7 giugno 2019: «Aou Novara. Donati 5 mila euro per progetto sulle mutazioni del DNA nel tumore del Pancreas - La donazione è intitolata alla memoria del giornalista Paolo Viana, scomparso a causa di una simile neoplasia, e servirà a finanziare un progetto di ricerca che valuti le mutazioni del Dna mediante Sequenziamento di Nuova Generazione (NGS) in sottogruppi più estesi di pazienti…». La fonte, come ho detto, è autorevole. Anzi, è il giornale online più autorevole del mondo sanitario. Comprensibilmente, dunque, la prima reazione alla lettura è di sorpresa. La seconda scaramantica ed irriferibile. Subito dopo, però, entra in campo la deontologia e scatta la verifica della notizia. Scorro mentalmente la genealogia gaudenziana: di Paolo Viana non ce ne sono molti a Novara e soltanto il sottoscritto fa (faceva) il giornalista. Quanto agli altri omonimi o godono di buona salute oppure sono defunti, ma non, come è scritto nello stesso articolo, «prematuramente».
In casi come questo, si deve andare alla fonte. Peccato che nel frattempo la Onlus beneficiata dalla donazione sia defunta anch’essa. Fortunatamente è vivo e sta benissimo il suo ex presidente, il quale a distanza di anni ricorda che la moglie di Paolo Viana, anche lei giornalista, ha partecipato alla cerimonia di donazione. Il dettaglio non è ininfluente. Sulle prime mi chiedo se, oltre ad esser trapassato a mia insaputa, sia stato anche sposato senza saperlo; immediatamente però la memoria si riaggancia alla triste vicenda di un collega novarese, che ha un cognome simile al mio, era sposato con una collega e fu stroncato da un tumore al pancreas nel 2017. Una telefonata alla moglie e il “caso” è risolto. Ma, si badi bene, per risolverlo si è dovuto scavare nella realtà dei fatti. Per il web, invece, Paolo Viana continua ad esser morto e continuerà ad esserlo finché qualcuno non correggerà quell’articolo, dimostrando che prima viene la vita reale e che internet si limita a correrle dietro. Io comunque non ho fretta: i nostri vecchi, che non vivevano incollati ai telefonini, dicevano che annunciare la morte di qualcuno gli allungasse la vita…

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