La legge sul consenso: il significato, cosa cambia e perché è stata rinviata

Domande e risposte sulla modifica del reato di violenza sessuale. Il Senato ha preso più tempo per riflettere: ecco i motivi
November 27, 2025
La legge sul consenso: il significato, cosa cambia e perché è stata rinviata
Uomini manifestano contro i femminicidi indossando mascherine rosse / Archivio IMAGOECONOMICA (aprile 2021)
Non vedrà la luce prima di febbraio 2026 la legge sul consenso "libero e attuale" senza il quale c'è violenza sessuale. Il testo, già approvato all'unanimità il 19 novembre scorso dalla Camera dei deputati grazie anche a un patto politico tra governo e opposizione, è stato fermato in Commissione Giustizia del Senato, dove avrebbe dovuto essere approvato il 25 novembre, nella Giornata per l'eliminazione della violenza contro le donne. Alcuni esponenti della Lega, tra cui il ministro Salvini, hanno osservato delle "criticità" nel testo del disegno di legge di riforma dell'articolo 609-bis del Codice penale, raccomandando un ulteriore approfondimento. Qui di seguito una serie di domande e risposte sul tema.
La legge sul consenso è richiesta dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne. Di cosa si tratta?
La Convenzione di Istanbul è un Trattato internazionale promosso dal Consiglio d’Europa, firmato nel 2011 ed entrato in vigore in Italia dopo la ratifica il 1° agosto 2013. Definisce e contrasta la violenza di genere e domestica, promuovendo la prevenzione, la protezione delle vittime e il perseguimento dei colpevoli, anche attraverso la definizione di una serie di reati da penalizzare, dallo stalking alla violenza psicologica.
Cosa dice la Convenzione di Istanbul sul consenso?
All’articolo 36 la Convenzione impegna i Paesi firmatari a perseguire penalmente i responsabili di violenza sessuale, definendola fondamentalmente come «atti sessuali non consensuali». Il consenso è così definito: «Il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutata tenendo conto della situazione e del contesto».
Come è stata “tradotta” questa previsione nella legge italiana?
La Camera, con una votazione bipartisan, ha approvato la riscrittura dell’articolo 609-bis del Codice penale, che disciplina la violenza sessuale. Questo reato si commette quando si costringe qualcuno a compiere o subire atti sessuali con violenza, minaccia o abuso di autorità. Ora viene specificato che la pena dai 6 ai 12 anni si applica anche a chi compie o fa compiere atti sessuali senza il "consenso libero e attuale" della persona. Il disegno di legge deve ora essere approvata dal Senato, dove è all'esame della Commissione Giustizia.
Cosa vuol dire “consenso libero e attuale”?
Libero, cioè dato volontariamente, come libera volontà della persona, non frutto di costrizione, ricatto, abuso di potere... Attuale cioè riguardante quel momento specifico, mantenuto durante il rapporto, non un “sì” dato in passato o presunto in virtù di una relazione stabile. Per esemplificare, una parte può tirarsi indietro anche dopo aver accettato l’approccio: in questo caso l’atto non è più consensuale. Questo vale anche nel caso di rapporti sessuali tra una coppia convivente: il consenso ci deve essere sempre.
Perché taluni parlano di “cambiamento epocale” o di “passo storico”?
Perché la violenza sessuale non è più (solo) un atto di costrizione fisica e si introduce il concetto che “solo un sì è un sì”, senza zone grigie né spazio a interpretazioni. La vittima non deve giustificare il suo dissenso. In realtà già la Cassazione, con una giurisprudenza ormai consolidata, aveva introdotto il tema. Gli addetti ai lavori sperano che puntando l’attenzione sul mancato consenso anziché sulla violenza esercitata, sia più facile ricordare che il tema dello stupro non è tanto la coercizione fisica, quanto l’atto sessuale non voluto che viola la sfera di autodeterminazione della donna. Oltre ad avere un effetto deterrente in tutti i casi in cui la volontà della vittima (in genere una donna) è ridotta da alcol o sostanze.
Come si può provare in tribunale il mancato consenso?
Molti esperti giudicano questo punto un falso problema. Lo specifico del mancato consenso è previsto ad esempio nei casi in cui la vittima è drogata o ubriaca, già oggi pacificamente considerati violenza sessuale, così come nei casi tecnicamente chiamati freezing, cioè quando la persona offesa si immobilizza e dunque non riesce a reagire. Chi denuncia di aver subito una violenza sessuale, afferma con questo già di non aver acconsentito all’atto e non deve giustificarsi. Tuttavia le indagini non si fermano mai all'affermazione della persona offesa, ma valutano il contesto, come dice la Convenzione di Istanbul. L’accusato che voglia difendersi dicendo che lei era consenziente (la linea difensiva più ricorrente) deve dire e provare cosa gli ha fatto credere che lei era consenziente. Si tratterà sempre di una valutazione complessiva. (ha collaborato Elena Biaggioni, avvocata del Dire, Donne in rete contro la violenza)  
Non si rischia che nel valutare il contesto complessivo si valutino anche le condotte di lei che possono aver fatto pensare che fosse consenziente?
Questo può essere un rischio. L’auspicio è che questa norma aiuti e guidi chi la “interpreta” nei tribunali e Corti d'appello in una prassi che già oggi è solenne nella Cassazione, ma che molto spesso nel merito si dimentica. Si spera insomma che venga riconosciuta in modo più chiara la tutela di chi subisce violenza senza riportare segni fisici. La vera sfida sarà monitorare che l’accertamento del mancato consenso non si trasformi in vittimizzazione secondaria, cioè che si guardino i comportamenti della persona offesa, la sua storia, più che il fatto specifico. La domanda non dovrà più essere, come ancora oggi accade: la vittima si è difesa abbastanza, bensì: c’era un consenso libero e riconoscibile? (ha collaborato Elena Biaggioni, avvocata del Dire, Donne in rete contro la violenza)  
In quali altri Paesi esiste una legge analoga?
Una legge sul consenso esiste nella maggior parte dei Paesi europei: Belgio, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia (da pochi giorni), Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Slovenia, Spagna e Svezia. Extra Ue, anche Islanda, Norvegia, Svizzera, Regno Unito e Canada dispongono di definizioni simili.
Perché la Commissione Giustizia del Senato ha rimandato l'approvazione del disegno di legge?
Perché più voci nel centrodestra - il ministro Salvini, la presidente della Commissione Giustizia Bongiorno, il ministro Nordio - hanno osservato "criticità" nell'impianto. È una legge, si è detto, che "lascia troppo spazio alla libera interpretazione del singolo", e solleva il rischio di "vendette personali, da parte di uomini e donne, che senza nessun abuso" potrebbero usare "una norma vaga" a proprio vantaggio, "intasando i tribunali". In sostanza si teme che una donna (perché la maggior parte delle violenze sessuali viene denunciata dalle donne) possa denunciare una falsa violenza motivandola con un mancato consenso. Insomma, una falsa denuncia per "incastrare" qualcun altro. Inoltre c'è il timore che si attui l'inversione dell'onere della prova. Nel nostro ordinamento è la persona offesa, quella che ha denunciato, e chi la rappresenta in tribunale, cioè il pm, a dover dimostrare che c'è stata violenza, mentre se la legge passasse così com'è stata formulata - si dice - c'è il rischio che sia l'accusato a dover dimostrare che il consenso all'atto sessuale esisteva.
È vero che se la legge sul consenso passasse così com'è si invertirebbe l'onera della prova?
Secondo gli esponenti del centrodestra che hanno chiesto un supplemento di riflessione, sì. Secondo il presidente del Tribunale di Milano, Fabio Roia, e di numerosi altri giuristi, non c'è questo rischio. "Dal punto di vista processuale e giuridico non cambierebbe assolutamente nulla. Verrebbe ampliato il concetto di consenso, ma sarebbe sempre il pubblico ministero a dover verificare se quel consenso c'è stato o no, tenendo presente che la denuncia comporta una assunzione di responsabilità", dice Roia. Quanto ai tribunali "intasati", il magistrato spiega di non aver mai visto "migliaia di denunce calunniose per casi di violenza".
Il timore di chi chiede un surplus di riflessione è che in caso di violenza, tra la parola di lei e quella di lui, il tema del consenso potrebbe favorire lei. È vero?
Secondo Roia, non cambierebbe nulla. "Sarebbe sempre il giudice, nel contraddittorio delle parti, a stabilire se la donna ha rappresentato una situazione vera oppure falsa".
    

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