Petrelli: «Con la riforma un giudice davvero terzo»

Nella prospettiva di un referendum, il presidente degli avvocati penalisti difende le innovazioni del ddl costituzionale: «L'Anm ha fatto il comitato per il No? Noi quello per il Sì, prima di loro
September 18, 2025
Petrelli: «Con la riforma un giudice davvero terzo»
Nel rovente confronto politico, giuridico e mediatico che gravita attorno alla «madre di tutte le riforme» della giustizia, come l’ha definita il Guardasigilli Carlo Nordio, la posizione degli avvocati penalisti italiani è chiara e definita ormai da qualche anno. In questa fase, con la legge costituzionale ormai sui binari della quarta lettura in Senato, a darle voce senza tentennamenti è il presidente dell’Unione Camere penali Francesco Petrelli.
Lei è schierato, senza se e senza ma, a favore della separazione assoluta fra le carriere di giudice e di pubblico ministero. Non nutre nemmeno un piccolo dubbio sulla futura efficacia della riforma?
Personalmente, sono decisamente a favore della separazione delle carriere. E l’Unione Camere Penali lo è da anni: nel 2017 si era impegnata nella raccolta delle firme a favore di una proposta di riforma di iniziativa popolare, sottoscritta da oltre 72mila firme di cittadini che avevano colto in quella proposta, poi ripresa da forze politiche e infine dall'attuale Governo, un punto centrale.

Quale, avvocato?

Che il cittadino che si trova a dover affrontare un processo deve avere davanti a sé un giudice “terzo”, come sta scritto nella Costituzione, ossia distinto sotto tutti i profili dall'accusatore.
Adesso non può essere “terzo?
No, è come se l'arbitro frequentasse gli spogliatoi e la panchina di una delle due squadre. Sarebbe ovviamente una partita che nessun cittadino vorrebbe francamente giocare.
Dopo la legge Cartabia, i passaggi fra i due percorsi di giudice e pm sono ormai ridotti a uno solo in tutta la carriera. Non poteva bastare?
Ma no, perché si tratta di un equivoco che resiste da anni fra la separazione delle funzioni e quella delle carriere. La prima riguarda quelle porte girevoli fra funzione giudicante e inquirente che un tempo erano frequenti e oggi, come lei sottolinea, sono limitatissimi, anzi irrilevanti. Ma il problema qual è?
Me lo dica lei.
Che pm e giudice restano uniti all'interno di uno stesso Consiglio superiore della magistratura per quanto riguarda valutazioni di professionalità, disciplina, avanzamenti in carriera, nomine e incarichi. Una confusione inaccettabile...
Perché?
Perché il pm - che nel nostro processo accusatorio è una delle parti - e il giudice “terzo” non possono convivere in un medesimo contesto organizzativo. Sa chi volle l’unitarietà delle carriere? Quel dogma l’abbiamo ereditato dal Ventennio fascista: nel 1941 l’allora Guardasigilli Dino Grandi istituì un principio che si sposava non solo con uno Stato autoritario, ma anche con un modello processuale inquisitorio, che nel 1988 abbiamo superato. Un sistema, mi lasci dire, ormai anacronistico.
Molte toghe ritengono che la riforma intaccherà l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e porrà le basi per un “controllo” dell’azione penale da parte dell’esecutivo.
Macché, è fantapolitica. Credo che alzino i toni e che insistano su questo tasto perché non hanno argomenti validi. Paventano rischi che non ci sono: autonomia e indipendenza di giudici e pm saranno rafforzate dall’avere ciascuno un proprio Csm, un proprio organo di governo.
Per il centrodestra, la riforma metterà fine al correntismo. La vede così anche lei?
Sì, credo che lo strumento del sorteggio sia l’unico capace di eliminare in radice quelle degenerazioni correntizie messe a nudo da vicende come il caso Palamara. E auspico che i nuovi Csm tornino a essere organi di garanzia delle toghe, come volevano i padri costituenti, più che luoghi di rappresentanza degli interessi delle componenti togate.
Il Governo tuona contro le «toghe politicizzate». Concorda?
Il problema c’è da decenni: da Mani pulite al berlusconismo e pure in questi anni. Certa magistatura ambisce a controllare in modo improprio le scelte della politica. Alcune recenti indagini milanesi lo confermano.
In vista di un probabile referendum confermativo, l’Anm ha appena costituito un comitato per il No. E voi?
Li abbiamo preceduti, dando vita a luglio a un comitato per il Sì. Coinvolgeremo associazioni e cittadini , spiegando che così si avrà una giustizia più efficace ed equilibrata.
Non pensa che i nodi gordiani siano altri? Processi annosi, carceri stracolme, errori giudiziari: la riforma come sanerà questo?
La riforma è il nuovo hardware, diciamo così, poi bisognerà metterci tanti software.
Fuor di metafora?
Ad esempio servirà continenza nel varare nuove fattispecie penali: non ci si può lamentare della durata dei processi se si creano ogni giorno nuovi reati, che intasano l’azione delle procure. Inoltre, separando le carriere, non avremo più gip che assecondano le richieste dei pm, autorizzando spesso custodie cautelari non necessarie: negli ultimi 30 anni, si contano 30mila casi di persone ingiustamente private della libertà e solo lo scorso anno, lo Stato ha speso 27 milioni di euro in indennizzi. Una beffa, sommata alla detenzione ingiusta per migliaia di cittadini.

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