Per il tribunale dell'Onu gli Stati devono risarcire i danni provocati al clima
di Redazione
Il pronunciamento della Corte internazionale di giustizia potrebbe innescare nei vari Paesi azioni legali da parte di singoli e gruppi: «La violazione degli obblighi va pagata»

Era stata definita la causa climatica del secolo. Ora, con il parere della Corte internazionale di giustizia (Cij), lo è davvero. I quindici giudici dell’Aja hanno stabilito un principio destinato a fare giurisprudenza: se uno Stato viola gli obblighi climatici a cui è tenuto compie un atto illecito internazionale. E in tal caso deve assumersene la responsabilità. La piena riparazione può includere la cessazione delle condotte dannose, garanzie di non ripetizione e, se necessario, risarcimenti agli Stati danneggiati. Anche in forma di compensazione economica. È uno dei passaggi più rilevanti del parere consultivo – richiesto dall’assemblea generale dell’Onu nel marzo 2023 – che, pur non essendo vincolante, avrà un grande peso giuridico nel determinare il corso delle cause climatiche in tutto il mondo.
Secondo il Grantham Research Institute, si contano quasi 3mila cause climatiche in 60 Paesi. Il pronunciamento della Corte potrà orientare le decisioni dei giudici nazionali e internazionali, rafforzare le politiche pubbliche e sostenere chi porta avanti azioni legali contro l’inazione climatica. Particolarmente significativo, in vista della Cop30 in programma a novembre, è il riconoscimento della natura come bene da tutelare e dell’approccio fondato sui diritti umani come leva per affrontare la crisi climatica.
Durante le due settimane di udienze, nel dicembre 2023, i Paesi del Nord globale avevano sostenuto che le responsabilità dovessero essere determinate sulla base dei trattati esistenti – come l’Accordo di Parigi del 2015 – che però, nella maggior parte dei casi, non sono vincolanti. Al contrario, i Paesi del Sud e gli Stati insulari avevano chiesto obblighi legali più stringenti e forme di compensazione da parte dei Paesi maggiormente responsabili delle emissioni. La Corte ha accolto in larga parte questa visione. Ha affermato che tutti gli Stati hanno un dovere giuridico – fondato su trattati ambientali, norme consuetudinarie e diritti umani – di prevenire danni significativi al clima, agire con diligenza, regolare le attività dei privati, cooperare e adottare misure efficaci di mitigazione e adattamento.
Ha inoltre chiarito che l’inazione – come la produzione e il consumo di combustibili fossili, la concessione di licenze di esplorazione, o l’erogazione di sussidi – può costituire un illecito internazionale. La Corte ha inoltre riconosciuto che tutti gli Stati parte hanno un interesse giuridico legittimo nel chiedere che gli altri rispettino i principali obblighi climatici. In altre parole: proteggere il clima è un interesse comune dell’umanità intera. «Oggi siamo entrati in una nuova era di responsabilità per il clima», ha commentato Elisa Morgera, relatrice speciale dell’Onu su diritti umani e cambiamento climatico. Tra coloro che festeggiano questa sentenza c’è sicuramente chi ha contribuito ad aprire questa “nuova era”. Cynthia Houniuhi, originaria delle Isole Salomone, era poco più che una bambina quando, durante un viaggio a Fanalei, rimase scioccata nel vedere case immerse nell’acqua salata. Scoprì che alcune famiglie erano state costrette a trasferirsi e in quel momento prese consapevolezza dell’impatto del cambiamento climatico. Con quella consapevolezza, nel 2019, al terzo anno di Giurisprudenza all’Università del Sud Pacifico a Vanuatu, con altri 26 compagni di corso trasforma quello che era un compito in classe sulla promozione della giustizia climatica in un’idea concreta. Nasce così l’iniziativa di chiedere alla Cij un parere sui doveri giuridici degli Stati verso il clima e verso le generazioni future. Quell’idea si trasforma in un movimento globale: World’s Youth for Climate Justice. Nel 2021 la proposta viene adottata ufficialmente dal governo di Vanuatu. Due anni dopo, con il sostegno di oltre 130 Paesi e agenzie Onu, la risoluzione viene approvata all’unanimità. Il resto è una sentenza storica.
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