sabato 25 marzo 2023
Gojtom ha 33 anni e vive nascosto ad Addis Abeba dopo essere fuggito dall’Eritrea. Ma per lui non esistono canali legali per emigrare e i trafficanti ne approfittano
Una vita nel limbo per migliaia di profughi eritrei

Afp

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Migliaia di profughi eritrei bloccati in un limbo in Etiopia e il reclutamento forzato dei giovani in Eritrea stanno alimentando un nuovo esodo verso Sudan e Libia. E stanno ostacolando le vie legali di ingresso in altri Paesi. Vive nascosto ad Addis Abeba da tre anni Gojtom, nome di fantasia per tutelarlo. Eritreo, vorrebbe chiedere asilo e poi cercare vie legali per trasferirsi in un Paese occidentale dove ha parenti.

O quelli pubblici come i ricongiungimenti, o quelli privati come i corridoi umanitari della Cei e di Sant’Egidio. Nessun paese civile al mondo potrebbe negargli asilo perché è scappato dall’Eritrea per evitare un servizio di leva indefinito condannato anche dall’Onu. Inoltre, il piccolo stato del Corno d’Africa è considerato il più militarizzato e repressivo del continente. Ma è vittima del paradosso etiope. L’Etiopia era infatti fino a pochi anni fa uno dei Paesi più accoglienti e generosi al mondo con i rifugiati. È arrivata a ospitare quasi 900 mila persone in fuga da Sud Sudan, Somalia e, appunto, da Eritrea.

Ma da quando nella prima metà del 2018 l’allora neopremier Abiy Ahmed ha promosso l’accordo di pace con Asmara, decine di migliaia di profughi eritrei che cercavano protezione in Etiopia sono finiti nel limbo giuridico. Non esistono, nessuno li registra nell’elenco dei rifugiati per non urtare Asmara. «Dal 2018 e ancor di più dalla fine del 2020 – accusa il giovane – ovvero da quando è scoppiata la guerra civile in Tigrai e le truppe eritree si sono alleate con quelle federali etiopi per combattere le forze regionali tigrine, l’Etiopia non registra più i profughi». L’ente nazionale che si occupava delle procedure burocratiche e del sostentamento dei rifugiati, Arra, è stato cambiato - oggi si chiama Rrs - e in seguito al conflitto che per due anni ha sconvolto il nord del Paese aveva sospeso la registrazione e quindi l’erogazione dei permessi. Inoltre ha dovuto affrontare il problema del ricollocamento di migliaia di eritrei ospitati nei campi profughi dell’Unhcr in Tigrai, i primi ad essere assaliti dai soldati in sandali di plastica del regime asmarino per rimpatriare forzatamente gli ospiti in spregio al diritto internazionale.

Le conseguenze quotidiane sono pesanti. « Non esistiamo, non possiamo lavorare né studiare – conferma Gojtom– e chi incappa in una retata della polizia etiope rischia anche di essere rimpatriato. Questo avviene ad Addis Abeba come nei campi per rifugiati». Un report scritto alla fine del 2020 sui due campi profughi non ufficiali ricollocati dal Tigrai- Alem-Wach, nella regione Amhara che ospita 32 mila persone e Logya nella regione Afar dove vivono oltre 14 mila eritrei e inviato all’Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati descrive una situazione drammatica. «Le condizioni sono durissime, il governo di Addis Abeba ci porta poco cibo e in più chi è arrivato dopo il 2018 non ha documenti – spiega al telefono da Logya Kiros, eritreo 28 enne fuggito con moglie e tre figli piccoli dall’ex colonia primigenia per non finire a combattere in Tigrai e poi “spiaggiato” in una regione ostile - qui siamo poco sicuri perché la popolazione locale ci prende di mira per derubarci e spesso compie raid nell’accampamento. Nessuno è responsabile della nostra sicurezza, l’Unhcr ci ha fornito le tende ma i campi non sono riconosciuti. Non sappiamo dove andare».

La conseguenza ad Addis Abeba, come nei campi, è l’aumento dei flussi migratori verso nord e sud per disperazione. «Tutti sanno che l’Eritrea è uni dei Paesi più oppressivi del mondo – conclude amaro Gojtom – eppure l’Etiopia non vuole registraci per non affrontare il problema. Molti profughi che non avevano aiuti dai parenti hanno dovuto tornare indietro. Chi ha soldi si è pagato il viaggio con i trafficanti in Sudan e poi cerca il modo di andare in Libia per provare a raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo. Altri si sono spostati in Kenya e Uganda».

Ci sono eritrei perfino nel poverissimo Malawi per provare a entrare in Sudafrica. Dalla stessa Eritrea giungono testimonianze della ripresa dell’esodo di giovani verso il Sudan per sfuggire ai rastrellamenti per i reclutamenti forzati ordinati dal regime. Molti vogliono proseguire in Libia perché in Sudan sono frequenti i rapimenti operati da banditi e spesso dalle stesse guardie di frontiera. Prevedibile in Libia una nuova stagione di torture impartite dai trafficanti eritrei e poi da quelli libici nei lager, l’aumento delle partenze e dei morti in mare nei naufragi e quelli nel deserto. Occorre una pressione internazionale sul governo di Addis Abeba perché ritorni a registrare i profughi eritrei giunti negli ultimi 5 anni. Così anche i corridoi umanitari e universitari della chiesa italiana da questo angolo del pianeta, paradiso dei trafficanti di esseri umani, potranno riprendere la loro importante testimonianza.

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