mercoledì 18 gennaio 2023
La famiglia del boss arrestato detta legge nelle due province dove sono registrate 22 logge massoniche, su 98 conosciute in tutta la Sicilia
Carabinieri davanti alla palazzina in cui viveva Matteo Messina Denaro

Carabinieri davanti alla palazzina in cui viveva Matteo Messina Denaro - Reuters

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Una latitanza di 30 anni in una Repubblica che ne ha soli 76 dice tanto degli uomini di caratura variabile “a disposizione” di Messina Denaro. Il fascicolo giudiziario 10944/08, dentro a cui confluiscono dal 1993 le acquisizioni su “Diabolik”, è lo specchio fedele dei conti che non tornano: mafia, politica, massoneria, imprenditori compiacenti e patti all’estero.

A cominciare dal mistero del medico, a lungo consulente del Tribunale di Marsala, che ha firmato le prescrizioni per il boss. Il dottor Alfonso Tumbarello, che a Campobello di Mazara ha firmato ricette e scartoffie per far accedere il padrino alle necessarie cure della clinica palermitana “La Maddalena”, avrà molte cose da spiegare. Nessuno crede che davvero abbia visitato il vero Andrea Bonafede prendendolo per un paziente oncologico, né che non si sia mai accorto dell’omonimia. Tumbarello è indagato per favoreggiamento anche perché il vero Bonafede gode di ottima salute. A quanto riferiscono gli investigatori, il medico difficilmente avrebbe potuto prescrivere esami e farmaci a un fantasma, comprese le pillole per superare certe defaillance maschili. Le hanno trovate i carabinieri che hanno perquisito l’appartamento-covo di Messina Denaro a Campobello, dove viveva da circa un anno senza risparmiare in spese per l’arredamento, l’abbigliamento, profumi francesi e accessori griffati.

Nei cassetti sono stati trovati appunti, cifre, nomi. Poche carte. Presto per parlare di “libro mastro”, ma il solo fatto che siano state rinvenute lascia presagire momenti di panico tra gli insospettabili “amici degli amici”. A cominciare da «quel mondo dell’amministrazione e della sanità - ha commentato il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia -, che gli ha permesso di operare senza essere individuato». Piccolo soggiorno, una cucina, una camera da letto e un bagno in una palazzina di due piani. «L’ho comprata io per conto suo, con 20 mila euro che mi ha dato lui», ha raccontato ai pm Andrea Bonafede, il geometra che ha prestato l’identità al latitante, di cui era amico fin dall’adolescenza.

A Campobello “don Matteo” non dava nell’occhio. Usciva per fare la spesa, ogni tanto al ristorante, qualche volta la visita di amiche su cui si sta indagando. Per arrivare all’alloggio gli uomini del Ros coordinati dal colonnello Lucio Arcidiacono hanno seguito le tracce di un mazzo di chiavi trovate nelle tasche di Messina Denaro. C’erano due telefoni, uno dei quali usato per le chat con le degenti del reparto oncologico di cui era diventato frequentatore, e l’altro probabilmente per comunicazioni criptiche. Gli inquirenti sono risaliti a un’Alfa Romeo 164 e ricostruito alcuni spostamenti, esaminando le immagini di numerose videocamere presenti a Campobello. Una nascosta perfino nel bar a pochi metri dal covo di via San Vito. Nel caffè teneva i summit Francesco Luppino, vecchio boss finito in manette e omonimo del Luppino che accompagnava ”Diabolik” in ospedale, il boss che durante le cure ha accettato di fare un selfie con un medico non prima del giro in chat tra le pazienti che ora si dicono choccate per questa indicibile amicizia.

Forse anche il dottore Tumbarello «è rimasto incastrato dal piano di Messina Denaro», riferisce un inquirente che ha ottenuto l’iscrizione del medico sul registro degli indagati. Intanto per favoreggiamento, poi chissà. Tumbarello è in pensione, ma in paese dopo una vita a curare tutti, lo cercavano ancora. Una gratitudine che gli è valsa nel 2006 l’elezione in consiglio provinciale con il centrodestra, senza che poi riuscisse nel grande salto a Palermo, da consigliere regionale e neanche da sindaco di Campobello.

Un professionista rispettato anche nelle aule di giustizia. A suo nome, secondo quanto risulta dai documenti visionati da Avvenire, ci sono incarichi tecnici liquidati dal tribunale di Marsala, tra cui 4.833 euro per 20 perizie nel 2016; 10.729 euro per 1o incarichi nel 2018, da sommare nello stesso anno a 7.879 euro per 12 affidamenti dal tribunale civile; altri 3.699 per 10 incarichi nel 2019. Insomma, un insospettabile che a fine carriera si vede costretto a fornire spiegazioni.

A tenere insieme la borghesia che conta c’è un binomio onnipresente. Mafia e massoneria in comune non hanno solo l’iniziale. I mandamenti di cosa nostra controllati da Messina Denaro ricadono nelle province con il più alto tasso di logge massoniche riconosciute: 10 a Trapani e 11 Agrigento, di cui 2 proprio a Campobello di Mazara, ultimo riparo del boss, e una a Castelvetrano, fortezza di mafia e misteri fin dai tempi in cui nel 1950 venne trovato cadavere il bandito Salvatore Giuliano, uno dei troppi misteri di Stato.

Da quel giorno i Messina Denaro dettano legge nelle due province dove sono registrate 22 logge massoniche, su 98 conosciute in tutta la Sicilia. Nel 1986 al termine di una perquisizione nel Trapanese vennero trovati documenti riconducibili a una loggia. Li lesse anche l’allora procuratore aggiunto Giovanni Falcone che dopo averli studiati avvertì un investigatore dell’Arma: «Attento, chi tocca questi fili muore». Falcone verrà ucciso nel 1992 anche per ordine di Messina Denaro. Anche la difesa del boss sarà svolta in famiglia. Per la prima volta il capobastone avrà un legale di fiducia e non d’ufficio. È la nipote Lorenza Guttadauro, figlia di Filippo e di Rosalia Messina Denaro, sorella del boss. Il nonno dell’avvocata, il medico Giuseppe Guttadauro, è indicato come storico boss del quartiere palermitano di Brancaccio, dove venne ucciso il beato Pino Puglisi nel 1993. Lorenza Guttadauro ha difeso altri parenti: la zia Anna Patrizia (l’altra sorella del boss di Castelvetrano), il fratello Francesco, suo marito Girolamo Bellomo, detto Luca, condannato in appello a 10 anni perché ritenuto ambasciatore dello zio Matteo nel tessuto economico.

Il padre di Lorenza Guttadauro, Filippo, fu a sua volta arrestato nel 1994 e condannato per associazione mafiosa a 14 anni. Il primo appuntamento processuale è previsto per domani nell’aula bunker di Caltanissetta. È imputato per le stragi di Capaci e Via D’Amelio del 1992, quelle dei depistaggi e dei mandanti ancora occulti.

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