martedì 18 giugno 2019
Il commissario Mijatovic all'Italia: «La Libia non è sicura». Uno dei naufraghi a bordo: piuttosto che la Libia, meglio morire. La nave è ancora senza un porto di approdo
(Ansa d'archivio)

(Ansa d'archivio)

COMMENTA E CONDIVIDI

La Procura di Agrigento ha aperto un fascicolo d'inchiesta sul caso della "Sea Watch 3" che da sei giorni è al confine delle acque territoriali italiane, a 16 miglia circa da Lampedusa. Il procuratore aggiunto, Salvatore Vella, nel fascicolo - a carico di ignoti - ha ipotizzato il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Mentre gli uomini della Squadra mobile stanno ascoltando i naufraghi che sono stati fatti scendere a terra perché in condizioni precarie di salute, alla ricerca di eventuali scafisti.

Nel frattempo il Viminale dà notizia del respingimento del ricorso al Tar del Lazio depositato dalla Sea Watch per contestare il divieto di ingresso in acque territoriali italiane imposto alla nave Sea Watch 3.

"I migranti salvati in mare non dovrebbero mai essere sbarcati in Libia, perché i fatti dimostrano che non è un Paese sicuro" aveva dichiarato in mattinata all'Ansa Dunja Mijatovic, commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, che si era detta "preoccupata per l'atteggiamento del governo italiano nei confronti delle Ong che conducono operazioni di salvataggio nel Mediterraneo".

Il commissario chiedeva che alla "Sea Watch 3 fosse indicato tempestivamente un porto sicuro che possa essere raggiunto rapidamente".

Dopo il salvataggio del 12 giugno, si trova ancora fuori dal confine delle acque italiane la nave Sea Watch 3: la vicenda non sembra trovare un esito positivo né per la dignità né per la sicurezza di tutte le persone a bordo, nonostante l'ennesimo richiamo arrivato dalle istituzioni europee.


Va ricordato che nella notte di sabato alla capitana della nave, Carola Rackete, 31 anni, è stato notificato da parte della Guardia di finanza il decreto sicurezza bis entrato in vigore il 15 giugno scorso dopo la firma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. In questo momento se l’equipaggio decidesse di entrare nel porto di Lampedusa, rischierebbe una multa di 50 mila euro e la confisca della nave, oltre all'incriminazione per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Perché la Libia non è porto sicuro e chi lo stabilisce (P. Lambruschi)

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha continuato sulla linea dura di considerare il rifiuto di Sea Watch a riportare i migranti in Libia come un atto illegale. In realtà, come spiega la portavoce dell’ong, Giorgia Linardi: "La Libia non è riconosciuta come porto sicuro a livello internazionale né dall’Oim né dall’Unhcr né dalla Commissione europea né dalla Farnesina. Lo diceva lo stesso ministro dell’Interno il 25 maggio scorso in una trasmissione televisiva. Se riportassimo i naufraghi in Libia commetteremmo un respingimento collettivo: crimine per cui l’Italia in passato è già stata condannata. Negli ultimi dieci giorni è stato bombardato un ospedale, sono stati distrutti diversi quartieri, questo è il paese dove ci si dice di riportare le persone soccorse, noi non lo faremo mai".

Hermann, uno dei naufraghi soccorsi dalla Sea Watch: «Piuttosto che tornare in Libia preferisco morire»

"Piuttosto che tornare in Libia preferirei morire". Lo dice chiaramente Hermann, uno dei migranti soccorsi lo scorso 12 giugno e ancora a bordo della nave Sea Watch, ferma al confine della acque territoriali italiane, a 16 miglia da Lampedusa. Il divieto allo sbarco nel nostro paese sta prolungando la permanenza delle persone a bordo: solo sabato è stato autorizzato lo sbarco di 10 persone, tra cui due neonati e le persone più vulnerabili.

Mentre sulla Sea Watch 3 rimangono 43 persone, tra cui anche alcuni minori non accompagnati, il più piccolo ha 12 anni. "Vorrei solo fare una domanda - continua Hermann, originario della Costa D’Avorio -: Chi non non ama la libertà nella sua vita? Chi vorrebbe soffrire tutta la vita? Noi oggi ci troviamo in questa situazione non perché vogliamo esserci ma perché vi ci siamo trovati. Vi chiedo di riflettere: non avete idea di quello che succede in Libia. Vi mostrano solamente delle foto, ma noi lo abbiamo vissuto sulla nostra pelle. Voi fate leggi che ci impediscono di oltrepassare i vostri confini, ma dove dovremmo andare? Io, Hermann, piuttosto che tornare in Libia preferirei morire. Preferirei dare la mia vita ai pesci piuttosto che essere nuovamente torturato".

Il ragazzo si rivolge poi al ministro dell’Interno tedesco: "Per favore pensi alla vita che stiamo conducendo, non è umano lasciar morire le persone in mare. Coloro che ci aiutano, coloro che ci salvano non sono criminali, salvano la nostra vita. Ci pensi, siamo tutti figli dello stesso Dio. Dovremmo vivere insieme come fratelli, come amici. Dovremmo poter vivere le nostre vite come voi. Anche noi abbiamo diritto alla libertà come tutti gli altri".

50 città tedesche pronte ad accogliere i naufraghi soccorsi

Nel frattempo oltre 50 comuni della Germania hanno manifestato la propria disponibilità a entrare a far parte di una rete di accoglienza dei migranti salvati nel Mediterraneo: ad annunciarlo è stato un portavoce del ministero dell'Interno di Berlino, precisando che le città che si sono rese disponibili lo hanno comunicato per iscritto.
Al di là della mobilitazione di alcune città e Länder, Sea-Watch ha criticato il governo centrale tedesco, accusandolo di restare immobile in attesa di una soluzione europea. "La Germania è chiamata" in causa, ha dichiarato il portavoce Ruben Neugebauer, accusando il ministro dell'Interno Horst Seehofer di bloccare il raggiungimento di una soluzione. Neugebauer ha poi esortato gli altri Stati europei ad impegnarsi sulla vicenda che vede la nave Sea Watch 3 ancora bloccata, con il coordinamento della Commissione.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: