lunedì 2 giugno 2025
Le tutele in caso di licenziamento (compreso il reintegro), il nodo risarcimenti e infortuni, il ricorso ai contratti a termine: ecco la posta in gioco nella consultazione promossa dalla Cgil
Referendum sul lavoro: i 4 quesiti, i pro e contro, cosa c'è da sapere

ImagoEconomica

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Domenica 8 giugno dalle 7 alle 23 e lunedì 9 giugno dalle 7 alle 15 si vota per cinque referendum. I primi quattro riguardano materie di lavoro e sono stati promossi dalla Cgil e altri soggetti che hanno raccolto oltre 4 milioni di firme. Il quinto è sulla cittadinanza. Perché l’esito del referendum sia valido occorre comunque che esprimano il loro voto almeno il 50% più 1 degli aventi diritto. Ecco una guida sulle consultazioni legate ai temi del lavoro, scheda per scheda.

Scheda 1 (verde): licenziamenti, il reintegro nel proprio posto? Solo in un caso. Perché non si torna all'articolo 18

Il quesito sul “Contratto di lavoro a tutele crescenti - Disciplina dei licenziamenti illegittimi” (n. 1 schede verde) interviene sul trattamento che il giudice può decretare dopo aver stabilito che il lavoratore è stato licenziato in maniera non corretta nelle aziende oltre i 15 dipendenti. L’obiettivo della Cgil che l’ha proposto è quello di ripristinare il reintegro del dipendente licenziato in maniera illegittima nel suo posto di lavoro, così come prevedeva originariamente il famoso articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970. In realtà, la questione è più complessa e ha a che fare non solo con il Jobs Act o meglio il decreto 23 del 2015 sulle “Tutele crescenti” di cui si chiede l’abrogazione, ma anche con le sentenze della Corte Costituzionale che hanno cambiato di molto la riforma approvata dal Governo Renzi. E soprattutto con la precedente normativa – la riforma Fornero varata nel 2012 dal Governo Monti - che aveva già modificato quanto previsto dallo Statuto dei lavoratori e ristretto le possibilità della reintegra (la cosiddetta tutela reale) nel posto di lavoro. Per comprendere meglio la posta in gioco, occorrono allora alcune precisazioni preliminari. Anzitutto i contratti a Tutele crescenti su cui interviene il quesito referendario si applicano solo ai rapporti di lavoro costituiti dal 7 marzo 2015 in poi. Per tutti gli altri rapporti si applica invece la legge Fornero. Nel caso dei licenziamenti illegittimi perché considerati nulli o discriminatori (motivati dal credo religioso o per l’appartenenza a un sindacato o per l’orientamento sessuale, l’età ecc.) è sempre previsto il reintegro nel posto di lavoro. Negli altri casi in cui invece il licenziamento sia dichiarato “illegittimo”, oggi la normativa, così come “corretta” dalla Consulta, prevede che il giudice possa stabilire solo un risarcimento da un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità (oltre sempre a stipendi e contributi non pagati nel periodo tra la fine della prestazione lavorativa e la sentenza).

Che cosa succede in caso di vittoria dei sì (e quorum valido)
Se il licenziamento individuale fosse stato intimato per un motivo ritenuto dal giudice insufficiente, si tornerebbe a un indennizzo di entità compresa tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità così come previsto appunto dalla legge Fornero successiva allo Statuto dei lavoratori ma antecedente al Jobs Act. Nel caso invece di licenziamenti collettivi (almeno 5 dipendenti) in cui la scelta dei lavoratori sia stata indebita a giudizio della magistratura, il dipendente sarebbe reintegrato nel posto di lavoro.

I pro e i contro del quesito
Per i lavoratori dipendenti, assunti dopo il 2015, sarebbe ampliata la possibilità di ritornare al proprio posto di lavoro. Ed eventualmente a concordare una transazione monetaria più alta da una posizione di maggior vantaggio. Questo perché molti lavoratori, per il logorarsi dei rapporti impresa-dipendente, alla fine preferiscono comunque il risarcimento e l’uscita dall’azienda.
Secondo i promotori del referendum l’abolizione del contratto a Tutele crescenti rafforzerebbe in generale la condizione dei dipendenti, che risulterebbero meno “ricattabili”, ad esempio in materia di sicurezza. E renderebbe più omogeneo il trattamento di tutti i lavoratori dipendenti (oggi 3,5 milioni su 20 milioni sono a Tutele crescenti). Per contro, il ritorno all’applicazione della legge Fornero abbasserebbe a 24 mensilità il massimale nel caso di licenziamenti individuali senza una motivazione sufficiente, mentre il minimo verrebbe innalzato da 6 a 12 mensilità. Inoltre, non sarebbero più tutelati i dipendenti delle organizzazioni di tendenza (sindacati, organizzazioni religiose, ecc.), oggi ricompresi nel regime delle Tutele crescenti. È possibile, infine, che il maggiore irrigidimento della normativa possa scoraggiare le assunzioni, ma non è provata una correlazione diretta tra i due fattori.

Scheda 2 (arancione): risarcimenti senza limiti nelle piccole imprese. Maggiori tutele agli operai, meno certezze per le aziende

Il quesito sulle “Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità: abrogazione parziale” (n. 2 scheda arancione) riguarda appunto le aziende che hanno meno di 16 dipendenti. In caso di licenziamento considerato illegittimo, in base questa volta alle leggi 604 del 1966 e la 108 del 1990, è previsto sempre e solo il risarcimento monetario e non la reintegra nel posto di lavoro (la cosiddetta tutela attenuata). La tutela reale, cioè la reintegra nel posto di lavoro scatta invece sempre (e solo) se la risoluzione del rapporto avviene per motivi discriminatori (a causa ad esempio del credo religioso o dell’appartenenza a un’organizzazione sindacale o per l’orientamento sessuale, l’età eccetera). Il referendum in questo caso interviene per eliminare il tetto massimo del risarcimento, fissato attualmente a 6 mensilità di stipendio, non cambia la natura della tutela.

Che cosa succede in caso di vittoria dei sì (e quorum valido)
Sarebbe il giudice a stabilire la misura del risarcimento senza un massimale preciso, potenzialmente molto più alto delle 6 mensilità oggi previste. Il magistrato per stabilire l’indennizzo potrebbe tener conto di diversi parametri come l’anzianità aziendale, i carichi familiari, l’età, il fatturato aziendale.

I pro e i contro del quesito
Il vantaggio per i lavoratori delle piccole imprese sarebbe quello di avere una tutela risarcitoria più consistente che, in questo caso, sarebbe di volta in volta fissato dal giudice presso cui viene intentata la causa di lavoro. Un potenziale problema è che, eliminato il limite massimo, il giudice potrebbe stabilire un indennizzo molto elevato, persino più alto di quello da 24 o 36 mensilità previsto per i dipendenti delle grandi aziende, un onere molto pesante per piccole realtà produttive. E questo rischio, senza un limite certo ai risarcimenti, potrebbe scoraggiare le piccole imprese dal fare assunzioni.

Scheda 3 (grigia): contratti a termine sempre con la causale. Meno precarietà (oppure meno occasioni?)

Il referendum sull’“Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi” (n. 3 scheda grigia) riguarda i contratti a termine e la causale per accenderli. Quando la durata del rapporto di lavoro è pari o inferiore ai dodici mesi, i proponenti vorrebbero fosse imposto l’obbligo ai datori di lavoro di indicare nel contratto il motivo – la cosiddetta causale appunto – che oggi non è richiesta. Il quesito - che interviene sul decreto 81 del 2015, una parte del Jobs act – mira a limitare il ricorso ai contratti a termine rispetto alle assunzioni a tempo indeterminato.

Che cosa succede se vincono i sì(e quorum valido)
Per assumere un lavoratore con un contratto a termine andrà indicata una motivazione tra quelle valide secondo la legge e i contratti collettivi nazionali per i rapporti a termine.

I pro e i contro del quesito
Il vantaggio principale, secondo il comitato promotore, sarebbe quello di limitare il ricorso ai contratti a termine solo a quelli sostenuti da solide motivazioni previste dai contratti, senza inflazionarne l’accensione. E dunque intervenire così su quella che viene considerata una forma di precarietà del lavoro e di “debolezza” della posizione del lavoratore. Per contro, l’irrigidimento delle condizioni per l’accensione dei contratti a termine potrebbe avere un effetto negativo sulle assunzioni, considerando che il primo ingresso strutturato nelle imprese dei giovani passa ormai quasi sempre per uno o più contratti a termine e che le imprese possono creare maggiore occupazione se più “libere” di assumere personale a tempo per esigenze particolari, senza doverle “motivare” rigidamente. È possibile, inoltre, che aumenti il contenzioso giudiziario a riguardo.

Scheda 4 (viola): infortuni, i committenti sempre corresponsabili. Spinta alla sicurezza o un onere eccessivo?

Il quesito sull”Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici” (n. 4 scheda viola) riguarda l’abrogazione di un comma del decreto 81 del 2008 varie volte modificato fino al testo della legge 215 del 2021. In generale è sempre prevista la corresponsabilità solidale del committente e dell’appaltatore oltre che per il pagamento degli stipendi anche per il risarcimento dei danni da infortuni se non coperti dall’Inail. Oggi è però prevista un’eccezione che riguarda i «danni conseguenti ai rischi specifici propri delle attività delle imprese appaltatrici e subappaltatrici». Per capirci, forse è utile un esempio: se oggi una società che si occupa di vendite di scarpe procedesse alla ristrutturazione di un suo negozio, appaltando il lavoro a un’impresa edile, non sarebbe corresponsabile in solido dei danni da risarcire a un muratore che si ferisse usando il piccone. Questo perché il negoziante di scarpe fa un altro mestiere rispetto a un’impresa edile. I proponenti vorrebbero che la corresponsabilità ci fosse in qualsiasi caso.

Che cosa succede se vincono i sì(e quorum valido)
La corresponsabilità solidale del committente si applicherebbe sempre e comunque, senza eccezioni.

I pro e i contro del quesito
Il vantaggio sarebbe certamente quello di spingere qualsiasi azienda committente a una maggiore vigilanza sulle attività e le condizioni dei lavoratori delle imprese appaltatrici. Verrebbe scoraggiato il ricorso a imprese con lavoratori in “nero” o poco professionali. Per contro, verrebbe richiesta ai committenti una “competenza” che non possono avere nella valutazione del lavoro delle imprese a cui appaltano un’opera. E ciò potrebbe risultare, oltre che eccessivo, economicamente svantaggioso, tanto da scoraggiare il ricorso ad alcune attività in subappalto.






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