domenica 26 luglio 2020
L’infettivologo: il virus non è cambiato, siamo noi ad esserci rafforzati e preparati. «I profughi sui barconi sono i più controllati. Occorrerebbe controllare meglio i viaggiatori intercontinentali»
Massimo Galli, infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano

Massimo Galli, infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano - .

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Lei studia i virus da una vita e in tutto il mondo. S’immaginava di gestire una pandemia in Italia?
Che sperassi di non dovermi mai confrontare con quest’eventualità è umano – ci risponde Massimo Galli, past president della Società italiana di malattie infettive e tropicali nonché direttore della terza divisione di malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano –, ma che non me l’attendessi no: credo di far parte del club ristretto che da tempo si occupa di queste possibili eventualità. L’Oms parla di malattia X da un po’ di tempo… Aggiungiamoci pure che una pandemia gli italiani l’hanno già vissuta, anche se l’hanno rimossa. Mi riferisco all’Hiv degli anni Ottanta. Era tutta un’altra storia per modalità di diffusione, ma c’era tutto quello che c’è oggi, compresa l’esposizione mediatica, che allora si legava allo scandalo, a un vero e proprio stigma, con la conseguenza che alcuni gruppi sociali non erano più considerate persone ma «categorie a rischio». Però vi era una differenza importante: quel virus ti dava la possibilità di compiere un percorso con il malato che, in una prima fase fu così, finivi per dover accompagnare alla morte. Conservo nella mia mente una galleria di volti che non dimentico neanche adesso, dopo trent’anni. Al contrario, nei mesi scorsi abbiamo curato migliaia di persone che se ne sono andate senza che potessimo conoscerle. Arrivavano a ondate, li vedevi che spesso non erano i condizione di parlare, dovevi cercare di creare un qualche rapporto con i famigliari, che spesso abitavano in altre città… Il personale sanitario, a tutti i livelli è stato fantastico. È stato fatto di tutto per essere comunque vicini alla persona che muore. Specie per i più giovani, infermieri e medici, non è stato facile.

Teme che in autunno il Covid 19 ci farà rivivere quest’esperienza?
Non l’ha ordinato il medico. Il virus è presente in Italia e in altri Paesi che hanno rapporti continui con l’Italia e può darci dei seri problemi, tuttavia non ritengo che si possa arrivare a una situazione simile a quella che abbiamo vissuto tra febbraio e aprile.

Il virus si è indebolito?
Ci siamo rafforzati noi: il sistema sanitario è più preparato a riconoscerlo e non gli permetterà di circolare indisturbato per settimane. Il coronavirus non si è modificato più di tanto sul piano genetico, non è né più né meno cattivo, ma ci sono persone infettate che infettano di meno gli altri e poi ci sono i superdiffusori. Il problema sono sostanzialmente loro, che sono spesso asintomatici, ma capaci di diffondere il virus, e che sono probabilmente all’origine dei focolai recenti.

Eppure, anche la Spagnola produsse una seconda – e più letale – ondata…
Ci andrei cauto a paragonare il Covid 19 ad altre pandemie o all’influenza. La Spagnola nacque da una ricombinazione complessa, in cui entravano in gioco ceppi aviari dell’influenza A; la Spagnola si è manifestata con una prima ondata in primavera e una terribile in autunno, e la ricorrenza in autunno e inverno è tipica dei virus influenzali. I coronavirus sono diversi, anche per come si diffondono: l’influenza la diffondiamo tutti allo stesso modo, per il Covid ci sono cattivi diffusori superdiffusori.

Quindi non è preoccupato per una recrudescenza in autunno?
Io passo la vita preoccupandomi, è il mio mestiere. Non lo faccio irrazionalmente – spero – ma in base agli elementi che posso avere. Non do per scontata una nuova emergenza autunnale (anche se l’Oms ripete di star pronti) né di paragonare questa malattia alla Spagnola o all’influenza tradizionale. Insomma, non è “scritto” che questo virus torni nelle modalità che abbiamo conosciuto ma è importante continuare a usare tutte le precauzioni.


«Serve potenziare la medicina territoriale, riprendere a vaccinarsi e riportare i medici nelle scuole»

I profughi che arrivano con i barconi sono un problema epidemiologico?
Tra le persone in arrivo sono le più controllate. Alcuni sfuggono ma non sfuggono solo loro: sfuggono ai controlli – e persino alla quarantena – molte persone che arrivano da Paesi Schengen dove l’infezione è ben presente. Occorrerebbe controllare meglio i viaggiatori intercontinentali che arrivano dalle zone in cui l’epidemia ancora imperversa.

Qual è il punto debole del nostro Paese?
La medicina territoriale. Si è disinvestito per anni. Invece, è la medicina territoriale che garantisce la capacità vaccinale e che fa prevenzione. E poi la medicina scolastica. Smantellata. Le pare che sia stato tanto intelligente cancellare questo servizio?

Cosa pensa delle ipotesi che circolano sul nuovo anno scolastico?
Mantenere il distanziamento tra i ragazzi è una missione impossibile e l’idea di riempire le aule di banchi inutili è uno spreco. Servono dei protocolli sanitari: misurazione della febbre e test rapidi ripetuti nel tempo, resi possibili dall’evoluzione che avranno nei prossimi mesi il test salivare e quello sul secreto nasale che danno una risposta in pochi minuti e mi auguro possano consentire la rapida identificazione dei soggetti infetti. Riportiamo i medici nelle scuole.

Ritiene utile vaccinare gli italiani contro l’influenza?
Mi spiace per i no vax – anzi, non mi dispiace affatto, semmai mi spiace che si dia loro tanto ascolto – ma la vaccinazione di massa agevolerebbe la sanità nel discernere i casi di Covid-19 dagli altri. La consiglio per gli ultra 65enni ma la estenderei ai bambini e ad alcuni luoghi di lavoro. È inaccettabile che chi lavora in ospedale o in una Rsa e non si vaccini. Se dipendesse da me, disporrei una campagna vaccinale per l’influenza associata al pungidito per individuare l’infezione da Covid-19 e quello per l’epatite C.

Perché proprio l’epatite C?
Prima del lockdown, l’Italia aveva discrete possibilità di perseguire l’obiettivo posto dall’Oms di eradicare l’epatite C entro il 2030; bisogna riprendere l’attività di assistenza (durante il lockdown è calata del 90%) e favorire l’emersione del sommerso e la veicolazione al trattamento delle persone con infezione attiva da HCV. Il 28 luglio celebreremo la Giornata Mondiale delle Epatiti. Epatiti B e C possono avere effetti particolarmente gravi, talvolta letali; se cronicizzano, provocano complicanze nel tempo anche fatali come la cirrosi e il tumore epatico. Tuttavia, l’epatite B può essere prevenuta con il vaccino e l’epatite C curata con farmaci efficaci e risolutivi. Senza dimenticare le epatiti A ed E.

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