mercoledì 10 giugno 2020
Le preoccupazioni rese palesi dalla Conferenza episcopale italiana: si potrebbe usare la legge Mancino per perseguire chi difende la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna
La Camera dei deputati in un'immagine d'archivio

La Camera dei deputati in un'immagine d'archivio - Ansa

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Sono ben cinque le proposte in commissione Giustizia della Camera, che - con diverse sfumature - puntano a inserire una nuova fattispecie alla legislazione penale di contrasto alle discriminazioni razziali, legata all’«identità di genere» e all’«orientamento sessuale». Una materia, il divieto di discriminazioni, che è regolata dalla legge 205 del 1993, che prende il nome dall’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino. Ora, l’obiettivo di tutte queste proposte è soprattutto il contrasto al deprecabile fenomeno dell’omofobia, partendo dall’esistenza - al riguardo - di un vuoto normativo.

La Corte Costituzionale, investita circa il rischio di innescare un reato di opinione attraverso il divieto di discriminazioni, aveva difeso la legge Mancino facendo riferimento alla specificità delle fattispecie in essa inserite, ossia la propaganda dell’odio razziale o etnico, o l’istigazione o l’incitamento a commettere atti discriminatori per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

È diffuso quindi il timore - di cui si è resa interprete la Cei con la nota di ieri, che l’allargamento ad altre materie (come l’identità di genere e orientamento sessuale) dei meccanismi sanzionatori previsti dalla legge Mancino potrebbe prestarsi alla tentazione di perseguire anche la difesa della famiglia fondata sul matrimonio, e il libero insegnamento della dottrina cattolica su questi temi. In virtù della legge Mancino è vietata, infatti, anche la formazione di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che perseguano intenti discriminatori. Esistono, d’altronde, già le norme a tutela della vita, dell’incolumità, e della libertà personale, quelle che condannano le minacce, le ingiurie e gli atti persecutori, norme che rendono già ora perseguibili comportamenti di omofobia.

Ma di «vuoto normativo» parla in premessa una delle principali proposte in campo, primo firmatario il deputato veneto del Pd Alessandro Zan, proveniente dall’impegno nelle associazioni Lgbt, relatore incaricato di fare sintesi per arrivare a un testo base comune. La sua proposta reca le firma di esponenti di peso dei dem, come Emanuele Fiano, Maurizio Martina, Andrea Romano Debora Serracchiani e Walter Verini, ma anche di altri, come Pier Luigi Bersani e Guglielmo Epifani di Leu e Lucia Annibali di Italia Viva. La proposta, con l’obiettivo di tutelare una comunità «particolarmente vulnerabile», consiste in due articoli. Il primo interviene sul 604 bis del codice penale integrando fra i casi di discriminazione quelli legati, appunto, a «orientamento sessuale» e «identità di genere», con il relativo divieto di costituire enti che perseguano le stesse finalità discriminatorie. Il secondo, analogamente, allarga agli stessi casi le circostanze aggravanti previste all’articolo 604 ter.

Un altra proposta è stata depositata dall’esponente di Italia Viva Ivan Scalfarotto, anch’egli vicino alle istanze Lgbt, con l’adesione di altri importanti esponenti del partito di Renzi come Maria Elena Boschi e la stessa Lucia Annibali, ma che reca la firma di molti deputati del Pd come Ascani, Fassino, Orfini, Fassino, oltre a Fiano e Verini, firmatari anche della proposta Zan, il quale a sua volta ha sottoscritto quest’altra proposta. Un consistente numero di adesioni, in area M5s, reca anche la proposta del pentastellato Mario Perantoni, che ora la difende come un «approdo di civiltà» da introdurre in chiave anti-discriminatoria. Più di recente si è aggiunta la stringata proposta della deputata di Forza Italia Giusi Bartolozzi. Mentre ha più di due anni un’altra proposta di legge a firma Laura Boldrini-Roberto Speranza.

I cinque testi restano tutti sul vago nel definire l’«orientamento sessuale» e l’«identità di genere», e questo aumenta i timori di un possibile uso distorto della nuova normativa che si presti all’introduzione surrettizia di una sorta di reato di opinione che penalizzi la il favor familiae previsto dalla nostra Cotituzione in più punti. Ma l’ex presidente della Camera assicura che obiettivo della norma che si vuole introdurre è «solo la condanna di atti concreti di discriminazione e istigazione per orientamento sessuale o identità di genere, per colpire due fenomeni preoccupanti come l’omofobia e la violenza sulle donne. Nessuna volontà, invece, di colpire la libertà di opinione o la diffusione di principi. Ora che andremo ad assumere un testo base - si dice certa Boldrini - il nostro obiettivo emergerà con chiarezza e ogni dubbio verrà fugato».


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