domenica 7 maggio 2023
In un’intervista , la scrittrice rivela di avere un cancro al quarto stadio. Le sorgenti della sua forza? Non essere sola e quella fede in Dio che ha sempre dichiarato
Murgia: morirò, da antifascista. Meloni: rimango e tifo per lei

ANSA

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In un’intervista , la scrittrice rivela di avere un cancro al quarto stadio. Le sorgenti della sua forza? Non essere sola e quella fede in Dio che ha sempre dichiarato Poi il dispiacere per una premier di destra. Che replica «Sei una guerriera», ti dicono. Niente di più sbagliato. È la frase più irreale che si possa dire a chi è già andato a sbattere contro quell’altra dichiarazione: «Lei ha un cancro». Se hai un tumore e non molli, ma ti affidi alle cure, non sei una guerriera, semplicemente non hai altra possibilità, come si g etta sul telone dei pompieri chi ha l’incendio alle spalle. Non è coraggio e non è una guerra, è l’unico destino che hai. Lo fa intendere molto bene Michela Murgia nella sua forte intervista al Corriere della Sera, dove ad Aldo Cazzullo rivela di avere un cancro terminale al quarto stadio, con metastasi già estese «ai polmoni, alle ossa, al cervello».

«Non mi riconosco nel registro bellico», afferma, nessuna «lotta» contro il male... Murgia da malata rifiuta, anche ideologicamente, tutto l’armamentario militaresco che già la infastidiva da sana, quando persino nel generale degli Alpini Figliuolo (che gestiva magistralmente la campagna vaccinale contro il Covid) vedeva un attacco alla democrazia. Ora però il suo è realismo toccante, e ha pure una base scientifica: le cure oncologiche oggi più avanzate (immunoterapia) non attaccano la ma-lattia ma stimolano la risposta del sistema immunitario.

Ecco perché non è una guerra ma una crescita, perché non mira ad uccidere un nemico ma a rafforzare noi stessi. Non a giocare in attacco ma in difesa. Per lei è tardi, si dirà, il suo male è avanzato e irreversibile, ma dopo una diagnosi che sa di sentenza si impara presto la differenza tra curare e guarire, spesso scambiati per sinonimi: se hai un cancro grave sai che non guarirai, ma sai anche che ti puoi curare, cioè “guadagnare tempo”, stare “bene” il più a lungo possibile, riorganizzare il (poco o tanto) futuro che ti resta, fare le cose che avevi rimandato. Anche il tempo assume ora un nuovo valore, prima intuìto solo teoricamente: sappiamo tutti che non va sprecato e che non torna indietro, ma ce ne dimentichiamo (è per questo che facciamo le guerre, odiamo, invidiamo) finché qualcuno non ci dice, come a Michela Murgia, che ci restano tot mesi.

Che differenza c’è in fondo tra i malati con sentenza ufficiale e gli altri esseri umani? Che i primi sanno già qual è il limite a loro concesso, i secondi no, ed è per questo che i primi sanno muoversi meglio. «La guerra presuppone sconfitti e vincitori, io conosco già la fine della storia ma non mi sento una perdente», dice la scrittrice, che proprio dal conto alla rovescia ha ricavato invece le energie per scrivere in tre mesi il suo ultimo romanzo, “Tre ciotole”. L’autrice di “Accabadora”, capolavoro che nel 2009 l’aveva resa famosa, è quindi tornata dal saggio al romanzo, «perché mi sono resa conto che la letteratura permette di dire cose meno assertive» e più autobiografiche. Ed è proprio in queste che forse si riconoscerà la gran parte dei malati di cancro come lei: nel continuo pensiero sottopelle di dover «preparare tutto», ovvero «scrivere un alfabeto dell’addio» rivolto alle persone che lascerai; nel chiederti se non sarebbe meglio un morire nel sonno senza accorgerti (come ci si augura da sani), o invece avere il privilegio e il tempo «di abituare al transito te stessa e le persone a te vicine»; nell’assurdo senso di colpa che provi temendo di vedere negli occhi degli altri la velata accusa, «specula sul dolore », sta male e ne approfitta… Soprattutto però nei due passaggi profondi in cui Murgia abbandona davvero la sua assertività e rivela le sorgenti della sua forza: il non essere sola e quella fede in Dio che ha sempre dichiarato.

Non gli si è rivoltata contro con la domanda più insulsa (anche questa però tipica dei sani), quel “perché a me?” che presupporrebbe che quindi nessuno si dovrebbe ammalare. Non lo ha accusato di ingiustizia né ha smesso di pregarlo. Anzi, «l’ho pregato e lo prego di far accettare alle persone che mi amano quello che accadrà». Il pensiero di Michela diventa lirico quando immagina l’Aldilà e l’incontro con il Padre, che «è una relazione. Non penso che la vita dopo la morte sia tanto diversa, vivrò relazioni non molto differenti da quelle che vivo qui, dove la comunione è fortissima: nell’Aldilà sarà una comunione continua, senza intervalli». Con gli altri o con Dio?, chiede Cazzullo.

«È uguale. Sarà il passaggio dal “non ancora” al “già”». Peccato, allora, che dopo altre cadute – la difesa dell’utero in affitto, lo svilimento della coppia («vivono di tradimenti e di bugie») e del matrimonio («sposo un uomo ma poteva essere una donna»), l’ammiccamento all’eutanasia – nel finale dell’intervista Murgia perda la saggezza enunciata e piombi nel bellicismo che dice di odiare: «Non ho paura della morte. Spero solo di morire quando Giorgia Meloni non sarà più presidente del Consiglio perché il suo è un governo fascista». Una caduta di stile (anche letterario) che a Meloni ha dato l’assist per replicare con classe: « Non l’ho mai conosciuta e non ho mai condiviso le sue idee, ma voglio dirle che tifiamo per lei. E io spero davvero che riesca a vedere il giorno in cui non sarò più presidente del Consiglio, come auspica, perché io punto a rimanere a fare il mio lavoro ancora per molto tempo. Forza Michela!».

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