martedì 7 agosto 2018
Intervista a David Mancini, magistrato della Dda dell'Aquila: «Lo sfruttamento è ovunque. I casi in agricoltura sono solo i più visibili»
«Morti di lavoro sfruttato. La legge non si tocca»
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«Sono morti sul lavoro sfruttato. In condizioni di sicurezza ancor più fatiscenti, stipati in un furgoncino». Questo è l’incidente di ieri nel Foggiano per il sostituto procuratore della Dda dell’Aquila, David Mancini, magistrato esperto di caporalato che ha scoperto anche nei cantieri della ricostruzione post terremoto. Ora riflette amaramente. «L’emersione di queste situazioni di grave sfruttamento lavorativo accadono purtroppo proprio in concomitanza con incidenti drammatici. Spesso i sopravvissuti decidono di parlare, cercando fiducia nelle istituzioni ». Proprio su questo la legge sul caporalato, che il magistrato ritiene «ottima perché finalmente fa chiarezza», può essere migliorata. E, sottolinea, «le imprese, che sono un tassello fondamentale nell’affermazione della legalità, possono dare un contributo importantissimo».

Come?
Intanto nel segnalare situazioni di anomalia non chiudendosi a riccio perché il negativo c’è ovunque. Penso poi a forme di agevolazioni a favore del lavoratore sfruttato che emerge. Una sorta di percorso privilegiato per chi denuncia, porta un contributo significativo all’accertamento, sempre che sia credibile e riscontrabile.

Una possibilità oggi poco praticabile per il lavoratore, diversamente dal famoso 'articolo 18' per le vittime di tratta.
La legge sul caporalato ora consente formalmente l’applicazione dell’articolo 18, però il tipo di assistenza va benissimo per altri tipi di vittime ma non per lavoratore che non vuole entrare in un programma di reintegrazione sociale ma lavorare e prendere una retribuzione perché ci deve vivere lui e la famiglia che ha lasciato in patria.

Cosa si potrebbe fare?
Si potrebbe immaginare un percorso di inserimento o nella stessa azienda che lo sfruttava, laddove possibile, oppure in altre aziende virtuose.

Torniamo alla legge sul caporalato, perché per lei funziona?
La precedente norma colpiva solo il caporale, invece la nuova legge offre un quadro chiaro dei fatti: i responsabili sono tanto i caporali quanto i datori di lavoro che non si capisce perché se sono consapevoli del fatto che un lavoratore viene sfruttato non debbano poi pagarne le conseguenze in termini di responsabilità penale.

Toglie l’alibi del 'non lo sapevo'...
La cosa drammatica di questo Paese, che è emersa anche dalla vostra inchiesta, è il mare di illegalità in cui tutto ciò si verifica e che fa capo alle stesse imprese. Certo moltissimi sono onesti e regolari, ma l’irregolarità di alcuni distrugge la libera concorrenza perché è evidente che se in un settore economico ci sono dei datori di lavoro che come costo del lavoro pagano una cifra bassissima a fronte di altri che invece rispettano le regole, come faranno questi ultimi a sopravvivere? Quindi questo dovrebbe essere un discorso a cui tengono le imprese ma anche tutti i cittadini e chi ci amministra perché la legalità nel settore economico significa un beneficio per tutti. Laddove invece c’è un terreno selvaggio dove ognuno si arrangia e il più debole viene sfruttato, è evidente che questo porta benefici a pochi e non alla collettività perché i lavoratori sfruttati non pagano i contributi. Questo è l’humus su cui poi le condotte criminali crescono. Ecco perché questa legge è positiva. Ed è una risposta a chi sostiene che invece è troppo penalizzante. Non è vero che una singola mancanza determina una responsabilità penale, perché la legge parla di reiterate violazioni della normativa sul lavoro. Non basta dare cento euro in meno in busta paga, lo sfruttamento lavorativo è altro.

Lei ha applicato la legge sul caporalato anche sui cantieri per la ricostruzione. Come c’è riuscito?
Abbiamo scoperto varie situazioni nelle quali l’imprenditore formale che prendeva l’appalto poi subappaltava ad altri imprenditori, in alcuni casi legati al clan dei 'casalesi', che reclutavano la manodopera campana, la sfruttavano, la alloggiavano in condizioni critiche, sottraevano più della metà dello stipendio, facendo lavorare oltre l’orario. È la conferma che lo sfruttamento è ovunque. I casi in agricoltura sono più visibili perché avvengono sotto il cielo, ma c’è anche l’edilizia, la ristorazione, il settore turistico, la logistica.

Basta la repressione?
No. C’è bisogno di sensibilità, di educazione civica perché tutti vedono questi lavoratori sfruttati, li ospitano nelle loro case, incassano in nero l’affitto. Noi arriviamo sempre dopo. Poi è chiaro che bisogna intervenire meglio. Ad esempio il settore delle ispezioni sul lavoro fino a poco tempo fa è sempre stato pensato da un punto di vista ammini-strativo: arriva l’ispettore, fa il verbalino, fa la sanzione amministrativa, ma non sempre è capace o è strutturato per far emergere il vero sfruttamento lavorativo che è molto vicino alla schiavitù. Non ha neanche i mezzi probabilmente. Sono pochi, e con dotazioni insufficienti.

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