lunedì 26 aprile 2021
Preghiere in tutta Italia ed Europa. Alle 19.30 nella basilica di Santa Maria in Trastevere. L'appello: garantire i salvataggi in mare, aprire subito corridoi umanitari
La veglia per i migranti morti nell’indifferenza: «Si torni a soccorrere»

"Siamo nuovamente raccolti innanzi alla croce di Lampedusa, le cui braccia sono composte da ciò che rimane delle imbarcazioni affondate nel Mediterraneo. Questa croce raccoglie oggi il grido disperato e l'angoscia dei 130 profughi annegati nella notte fra giovedì e venerdì scorso, davanti alle coste libiche". Lo ha detto questa sera monsignor Marco Gnavi, parroco della basilica romana di Santa Maria in Trastevere, durante la preghiera promossa dalla Comunità di Sant'Egidio per le vittime dell'ennesima strage di migranti consumatasi nel Mediterraneo.

"Donne e uomini, bambini, inghiottiti dal mare, dopo aver atteso invano i soccorsi per ventisette ore, dal momento in cui hanno lanciato la richiesta di soccorso - ha sottolineato Gnavi nell'omelia -. Il loro grido di aiuto e le loro braccia alzate verso il cielo non sono stati sufficienti per scuotere le autorità europee, italiane, libiche e maltesi, nell'indifferenza delle istituzioni e di noi tutti. Guardando la croce, ci sembra di vedere i loro volti, le lacrime, ci sembra di percepire la paura e la terribile solitudine".

"Può l'Europa intera, possiamo noi volgere gli occhi altrove? L'abitudine al dolore altrui è pericolosa", ha avvertito il sacerdote. "Nessuno può scendere da solo dalla croce. Nessuno si salva da solo. Dobbiamo raccogliere il grido di chi soffre e affonda", ha aggiunto.

"La morte di questi nostri fratelli e di queste nostre sorelle è un appello doloroso a lasciarci scuotere", ha detto ancora monsignor Gnavi, ricordando le parole di papa Francesco di ieri al Regina Caeli sulle vittime del naufragio e dei tanti
altri che avvengono in Mediterraneo.

"Questa è la ragione più profonda della nostra invocazione. Sentiamo infatti la responsabilità personale e collettiva di non
volgere gli occhi altrove e di reagire operosamente e decisamente perché non si può lasciare il deserto in mare di soccorritori - ha affermato -: che si torni a soccorrere e salvare; salvando la vita degli altri preserveremo anche la nostra umanità dall'imbarbarimento". "Nell'indifferenza ripetiamo sommessamente: salva te stesso! - ha aggiunto - Al cinismo dei trafficanti non possiamo opporre il cinismo della distanza e il mancato soccorso".

Secondo mons. Gnavi, "occorre potenziare vie legali di immigrazione, rafforzare i corridoi umanitari. Non accettare che porti, ormai universalmente riconosciuti insicuri, e luoghi di detenzione e tortura siano un destino ineluttabile. Possiamo tutti fare di più, istituzioni e noi tutti! Soprattutto non dormire accanto a un mondo in agonia".

"Diceva don Pino Puglisi: 'Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto' - ha concluso -. Il grido dei migranti non ci trovi
timidi o tiepidi".

Altre veglie di preghiera si sono svolte in tutta Italia e in altri Paesi europei.

il vescovo Lorefice: queste morti feriscono la coscienza umana e cristiana

Sono parole ferme anche quelle dell’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, - riportate da Vatican News - in riferimento ai ritardi nei soccorsi del gommone con 130 persone affondato, al largo della Libia. “A ferire la coscienza umana e cristiana – scrive in una nota – non è solo l’assoluta indifferenza in cui tutto questo è avvenuto” ma anche quella dei principali organi di stampa nazionali che hanno trattato “la tragica fine di queste vite come una notizia di second’ordine o peggio di ordinaria routine”, soprattutto – denuncia - è anche “il grave rimpallo di responsabilità tra la Libia, Malta, l’Italia e l’Unione Europea a cui si assiste nelle ricostruzioni di queste ore”.

“Il lungo temporeggiare sull’obbligo del soccorso e l’accavallarsi confuso delle giustificazioni continuano purtroppo – prosegue il presule - a dimostrarci che non è più possibile che si ritardi nella ricerca di una soluzione politica a livello europeo, una soluzione umanamente sostenibile che ponga fine una volta per tutte a questa straziante barbarie”.
Nei pensieri di Lorefice ci sono “le sorelle e i fratelli, le donne e gli uomini dell’Africa, vittime, da parte dell’Occidente, di una spoliazione quotidiana e sistematica, che depreda della loro ricchezza e le costringe a cercare vita e fortuna altrove”. Invece di pensare a questo, denuncia l’arcivescovo, “chiudiamo le frontiere del nostro benessere grondante del sangue dei poveri, per impedire ad altri il diritto ad un’esistenza che non sia svuotata della sua stessa dignità”. Un fatto “scandaloso” perché l’Italia e l’Europa non sentono l’urgenza di cambiare le cose.

Il tempo è finito. Svegliamoci! Lo dico – conclude Lorefice - in nome del Vangelo a tutti i cristiani, a tutte le donne e gli uomini di buona volontà: ripartiamo dall’uomo senza aggettivi e nazionalità, dalla nostra comune umanità e ripensiamo la politica così. Altrimenti non ci sarà futuro per noi e per i nostri figli!”.


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