giovedì 12 gennaio 2023
Nel silenzio generale (da noi) Roma parla con personaggi discutibili che chiedono sempre le stesse cose: legittimazione politica, flussi di cassa, potere personale. Un ricatto continuo
Soccorso in mare

Soccorso in mare - Ansa/Msf

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Ogni barcone è un messaggio. Anzi un ricatto. I destinatari sono i soliti: Italia e Ue. I mittenti anche. Le richieste sono sempre uguali: legittimazione politica, flussi di cassa, potere personale dei boss con ambizioni politiche. Di questi ultimi, però, non c’è traccia nel dibattito pubblico. Fantasmi, come le vittime delle violazioni dei diritti umani.

L’ultimo a cercare di accreditarsi presso Italia e Bruxelles si chiama Emad Trabelsi. Il 29 dicembre ha incontrato una nostra delegazione, che si è mossa con molta cautela. A Roma non se ne parla. A Tripoli è su tutti i media.

Nelle foto fatte uscire sulle testate libiche si vedono il prefetto Lamberto Giannini, capo della Polizia di Stato, e il Direttore dell’Aise, il generale Giovanni Caravelli, dialogare a debita distanza con lo staff di Trabelsi. Poi le foto di rito, ma nessuna pubblica stretta di mano. Entrambi gli emissari italiani, a giudicare dai numerosi scatti, se ne guardano bene.

Il curriculum di Trabelsi è noto agli addetti ai lavori. Con la sua storia, è uno di quei personaggi che può decidere quando aprire e quando socchiudere le rotte dei barconi e quelle di altri traffici illeciti. Ama farsi ritrarre con i Ray Ban scuri fin da quando era un giovanissimo mammasantissima dell’estremo ovest, al confine con la Tunisia. Il premier Dbeibah lo ha designato ministro dell’Interno, dopo avergli preparato il terreno arruolandolo da sottosegretario.

Il suo è il dicastero chiave per il controllo delle milizie e degli affari che tengono insieme i traffici di petrolio, migranti, armi, controllo del territorio e rapporti con i salotti europei. Il ministero inoltre dispone di una sua “guardia costiera” e di milizie affiliate, travestite da polizia territoriale, che a loro volta controllano i campi di prigionia dei migranti e decidono quando chiudere un occhio davanti alle coste e quando ostacolare i trafficanti concorrenti.

Già nel 2018 il dipartimento di Stato Usa (presidenza Trump) nel rapporto annuale sulle violazioni dei diritti umani nel mondo confermava una ricostruzione del gruppo di esperti Onu sulla Libia. Tra i nomi c’era quello dell’ambizioso Trabelsi, indicato come «comandante della Forza per le operazioni speciali di Zintan, nel frattempo nominato a capo della Direzione generale della sicurezza». Secondo le accuse, Trabelsi è stato «beneficiario di fondi ottenuti illegalmente».

Gli esperti Onu spiegavano che il capomilizia aveva imposto un tariffario per i transiti sul suo territorio: «5.000 dinari libici (3.600 dollari) per ogni autocisterna contenente prodotti petroliferi contrabbandati attraverso i posti di blocco sotto il suo controllo nel nord-ovest della Libia». Dopo aver pagato il “pedaggio” in contanti agli uomini di Trabelsi, ha rivelato Sergio Scandura per Radio Radicale pochi giorni fa, gli idrocarburi potevano entrare illegalmente in Tunisia. Un giro d’affari da decine e decine di milioni di euro all’anno.

Quando Emad Trabelsi ebbe il suo primo incarico di governo, passando da sceriffo di confine a sottosegretario agli Interni, il capo della Commissione nazionale per i diritti umani in Libia (Nchrl), Ahmed Hamza, protestò con il premier Dbeibah affermando che l’uomo dei clan di Zintan «è uno dei peggiori violatori dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale in Libia».

L’intelligence italiana queste cose le sa. E dovendo barcamenarsi con i continui cambi di governo e ministri (in Italia come a Tripoli), si trova spesso a dover rifare i conti. A Tripoli, inutile dirlo, la stabilità in politica è una chimera. A decidere sono milizie, fazioni, clan, capibastone. Uno Stato-mafia che non si accontenta più di venire a patti con i boss, ma oramai li arruola fino ai ranghi più elevati. Abdurhaman al-Milad (il comandante Bija) è ora un pluridecorato maggiore della Marina, per il quale il governo ha chiesto invano il ritiro delle sanzioni Onu. Trabelsi si aspetta d’essere confermato ministro e altri capiclan attendono d’essere cooptati nei posti di comando.

Fonti investigative internazionali sostengono che lo spostamento progressivo delle partenze di barconi dalla Libia alla Tunisia sia il frutto di accordi tra gruppi di criminali a cavallo tra i due Paesi. «Se i migrani partono dalla Tunisia - spiega la fonte da Tripoli - non si potrà più dire che é tutta colpa della Libia, spesso accusata di non volere mettere un freno al traffico di esseri umani».

La crudeltà dei trafficanti di vite «non conosce limiti: da qualche mese a Lampedusa i migranti arrivano anche a bordo di barchini in lamiera. Imbarcazioni di pochi euro, saldate malamente e pronte ad affondare alla prima onda», continua a denunciare Pietro Bartolo, per anni medico delle continue emergenze sull’isola e adesso europarlamentare. In questi giorni si è recato di persona a fotografare i natanti. Hanno l’aspetto di bare scoperchiate.

«Imbarcazioni mai viste prima - dice Bartolo - , con sottili lastre di lamiera e pochi punti di saldatura». Una modalità su cui lavora la Squadra Mobile della polizia di Agrigento e la procura della città dei Templi. Investigatori a cui si deve gran parte della ricostruzione degli organigrammi criminali sulle coste libiche. «Bisogna andare a fondo, anche perché - ricorda l’europarlamentare - con la Libia il nostro Paese ha appena rinnovato un accordo per il sostegno alla loro guardia costiera».

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