giovedì 6 marzo 2025
La premier ribadisce il "no" al contingente europeo ma il generale Portolano potrebbe partecipare al vertice militare di Parigi. La premier non riesce a far entrare il presidente Usa nelle conclusioni
Giorgia Meloni

Giorgia Meloni - Palazzo Chigi

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C’è un’onda che va, a Bruxelles. Giorgia Meloni può provare a domarla, ma non può fermarla. Nel piano di riarmo Ue può far valere qualche distinguo, anche pungere. Ma non può incrinare una piattaforma che gli altri leader fondano sul senso di un’urgenza
indifferibile. Si può discutere e chiedere un surplus di riflessione. Ma non ci si può isolare. Su nulla. Su nessuno dei dossier. Persino su quelli più indigesti, come quello di un eventuale contingente europeo a difesa di Kiev, su cui portano la bandiera Francia e Gran Bretagna. Meloni, in serata, in un breve briefing con la stampa, con la voce provata dalla maratona bruxellese, ribadisce la linea: lei non è convinta, ritiene che bisogna estendere l’articolo 5 della Nato, insomma tenere gli Usa dentro, non rinunciarvi. Eppure, non può essere indifferente ai tentativi promossi dai partner. Perciò è probabile che al «summit militare» promosso da Emmanuel Macron a Parigi, previsto all’inizio della prossima settimana, ci sia la presenza del Capo di Stato Maggiore, generale Luciano Portolano. È il segno del difficile e costante equilibrio che la premier deve raggiungere tra convinzioni personali, equilibri di maggioranza e “onda europea”.

Quanto al piano di riarmo, quello di Meloni è un sì, con riserve che potranno essere affinate al Consiglio Europeo formale del 20-21 marzo. «È lì che si decide», ricorda Meloni. C’è tempo per affinare i punti cari a Roma. Il primo, «cambiare nome», non insistere sulle armi ma sulla difesa e sulla sicurezza. Il secondo, anticipare con nettezza che l’Italia non utilizzerà la clausola che consente di convertire i Fondi Coesione in spesa per armi. «L’Italia non si priverà di queste risorse preziose», dice Meloni annunciando che proprio questo sarà il “patto” che proporrà al Parlamento prima del prossimo Consiglio Europeo. Una mano tesa a Salvini, per stemperarne la posizione. Ma anche per accorciare le distanze con Elly Schlein e il Pd.

Altro punto su cui investe politicamente la premier è una ritrovata sintonia con la Germania. Ieri sia Scholz (l’uscente) e Merz (l’entrante) hanno detto che Berlino vuole una revisione più ampia del Patto di stabilità, che vada oltre la sospensione temporanea, per consentire lo scorporo strutturale delle spese in difesa. Scholz propone una flessibilità di 10 anni sugli armamenti. Roma si mette in scia chiedendo di allargare la flessibilità concessa per le armi anche alla «competitività». Ma non è un discorso a breve termine. Mentre a breve termine è la necessità di coordinare i riarmi nazionali con le liste della spesa che presenta anche la Nato.

In serata, poi, a mercati chiusi, si affaccia un altro problema. Lo spread - non solo in Italia - ha avuto un rialzo. Il debito non piace ai mercati. Qualsiasi sia la sua natura e motivazione. Meloni chiede allora a Von der Leyen di evitare «danni reputazionali» a Paesi esposti come l’Italia. Offrendo garanzie europee agli investimenti in difesa, sul modello di InvestEu. Roma è pronta a presentare un dossier al prossimo Ecofin con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che dunque, dopo le critiche al riarmo espresse nei giorni scorsi, viene coinvolto nelle scelte strategiche.

Con queste puntualizzazioni, per certi versi dovute per altre di dettaglio, Meloni si tira fuori da una giornata che poteva essere complicata. Ma le prossime non saranno da meno. Il «summit militare» di Parigi potrebbe metterla nelle condizioni di dover rispondere di quanto detto nei giorni scorsi, e ribadito ieri sera, su eventuali truppe europee di stanza in Ucraina per proteggere Kiev dalla Russia. Ma l’eventuale presenza di Portolano verrà inquadrata come un gesto ordinario, ovvio, che un Paese come l’Italia deve di fronte all’iniziativa di un partner importante come la Francia. Ieri non ci sarebbero stati bilaterali Meloni-Macron, ma i due hanno diversi nodi su cui chiarirsi, compresa l’offerta di uno «scudo nucleare» avanzata da Parigi. Tutte prospettive che non entusiasmano Roma.

La linea italiana complessiva, ribadita anche da Tajani, è non mollare Washington, non agevolarne l’uscita dalle responsabilità in Europa e verso l’Ucraina. Ma Trump è diventato imprevedibile anche per Meloni. E vedere che partita si vuole impostare a Parigi con i vertici militari pare ora necessario. Anche se, si apprende in serata, Meloni ha provato a far inserire nelle conclusioni del vertice un passaggio che avrebbe riconosciuto il ruolo di Trump per la pace. Ma il suo ruolo da pontiere non ha trovato grandi sponde.

Quanto agli attacchi di Putin, Meloni glissa: «Parla al suo pubblico. Vuole prendersi tutto quello che è suo? L'ho già sentito in una serie tv». Si riferisce a "Gomorra". Quanto a una delle sue prime idee, un vertice Ue-Usa, è stata sì accolta con favore, ma allo stato non ha particolari sbocchi operativi.Difficile dunque che Salvini possa essere felice di come il governo di cui è vicepremier torna da Bruxelles. «In queste ore - affonda il capo della Lega - Zelensky, Putin e Trump parlano di pace. Qualcuno fra Bruxelles e Parigi parla di armi nucleari, di invio di soldati in Ucraina e usa toni di guerra. La maggioranza degli italiani chiede pace, lavoro e serenità». È un altro messaggio a Meloni.

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