lunedì 10 gennaio 2022
Il raid a Tripoli per condurre nei campi di prigionia i migranti che da mesi erano accampati chiedendo di non venire catturati. In una nota ad “Avvenire” l’Unhcr esprime “seria preoccupazione”
L’accampamento distrutto e incendiato dalle milizie durante gli arresti

L’accampamento distrutto e incendiato dalle milizie durante gli arresti

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Il rastrellamento delle milizie libiche su ordine delle autorità di Tripoli è scattato in piena notte, mentre quasi mille migranti e profughi dormivano sulla via d’accesso a una delle sedi dell’alto commissariato Onu per i rifugiati. A dare il via alle operazioni, che il governo rinviava da settimane anche a causa della forte esposizione mediatica internazionale dei profugi, che in collegamento avevano partecipato anche a un forum in Vaticano, è stata una richiesta esplicita dell’Unione Europea, attraverso l’inviato di Bruxelles in Libia.In una nota inviata ad Avvenire l'alto commissariato Onu per i rifugiati esprime da tripoli preoccupazione per la sorte dei prigionieri e conferma come l'intera operazione abbia ancora diversi punti poco chiari.

Nelle settimane scorse vi erano stati momenti di tensione tra alcuni migranti e il personale di sicurezza che sorveglia la sede dell’alto commissariato. Anziché procedere a fermare le singole persone coinvolte nei disordini, Tripoli è intervenuta con una deportazione di massa, come già avvenuto nei mesi scorsi quando 4mila profughi vennero gettati nei campi di prigionia che nel frattempo si erano svuotati per effetto delle partenze vie mare e dei trasferimenti nei campi di detenzione recentemente aperti in pieno deserto, lontano da occhi indiscreti.

Senza risparmiare donne incinte e bambini piccoli, gli stranieri sono stati tutti portati in strutture sotto il controllo del Dcim, dove secondo le Nazioni Unite avvengono da anni “orrori indicibili”. Il pugno di ferro contro i migranti è anche la prima azione pubblica del nuovo capo del Dipartimento, il capomilizia Al-Khoja sospettato dalle organizzazioni internazionali e da diversi rapporti Onu di essere al centro di una rete di trafficanti di esseri umani.

L’8 dicembre l’ambasciatore Ue Jose Sabadell aveva ribadito la sua preoccupazione “per l'attuale situazione al di fuori della sede di Unhcr Libia, che mette in pericolo la vita di molti e impedisce Unhcr di svolgere il proprio lavoro fornendo assistenza umanitaria ai più vulnerabili”. Unhcr, tuttavia, non ha mai chiesto alle autorità di Tripoli di sgomberare in massa i migranti, ma esclusivamente di intervenire su alcuni “facinorosi”. “Chiediamo alle autorità libiche di garantire la sicurezza e proteggere persone e locali”, aveva scritto su Twitter l’ambasciatore Sabadell. Due giorni dopo il diplomatico ha provato a correwggere il tiro: "Siamo preoccupati per le violazioni dei diritti dei migranti, compresa la detenzione arbitraria in condizioni inaccettabili. Accogliamo con favore il lavoro dell'Onu, inclusa Unhcr, che fornisce assistenza umanitaria e protezione e chiediamo alle autorità libiche di facilitarli". Ma oramai il segnale era stato chiaro e quale sarebbe stata la reazione delle varie polizie che si spartiscono il controllo della capitale, era prevedibile.

Già nello scorso ottobre, in occasione del primo raid per le strade di Tripoli l’Alto commissariato Onu aveva chiesto la fine degli arresti arbitrari e la ripresa dei voli di evacuazione. Solo nel 2021 più di 1.000 persone che stavano per essere trasferite in Paesi africani sicuri sono rimaste bloccate in Libia per via del blocco dei corridoi umanitari, deciso unilateralmente da Tripoli.

L’alto commissariato per i rifugiati ha inviato da Tripoli una nota ad Avvenire, in cui esprime preoccupazione e chiede alle autorità di rispettare i diritti umani.

“Unhcr è molto preoccupato per la situazione delle persone arrestate ieri sera. Stiamo cercando di accertare dove si trovino ora e di fornire tutta l'assistenza necessaria”, si legge.. “Continuiamo a chiedere alle autorità libiche di rispettare i diritti umani e la dignità dei richiedenti asilo e dei rifugiati e di rilasciare le persone detenute arbitrariamente, comprese donne e bambini”. Una richiesta in questi anni caduta pressoché nel vuoto. L’alto commissariato ricorda che “le autorità libiche hanno la responsabilità di garantire la sicurezza di tutte le persone sul proprio territorio; tuttavia, le autorità statali sono anche tenute a garantire il rispetto dei diritti e della dignità di tutte le persone in Libia, compresi i migranti e i richiedenti asilo”.

Un riferimento, questo, che rimanda ad alcune tensioni che vi sono state tra alcuni rifugiati e il personale che coopera con le agenzie Onu a Tripoli. La richiesta dell’Onu era quella di trovare una soluzione per le persone accampate e allo stesso tempo garantire che non vi fossero ostacoli nelle operazioni umanitarie.

Fonti delle missioni internazionali a Tripoli hanno spiegato ad Avvenire che “al momento non è chiaro chi abbia ordinato e chi abbia eseguito le incursioni”. Oltre al dipartimento contro l’immigrazione illegale (Dcim) sarebbero intervenuti anche i "Cavalieri di Janzour", una delle milizie tripoline. La direzione della prigione di Ain Zara ha confermato chd un crto numero si persone è stato condotto nel centro di detenzione, ma non ha voluto precisare i numeri. Testimoni oculari parlano di circa 1.000 persone.

Quanto alle evacuazioni dalla Libia, “che Avvenire cita nell’articolo di oggi, dopo la rimozione del divieto sui voli umanitari, un totale di 1.643 persone sono state evacuate o reinsediate fuori dalla Libia verso un paese sicuro in tutto il 2021”. Ma si tratta ancora di piccoli numeri. “L'Unhcr è pronto, insieme ad altre agenzie delle Nazioni Unite, a lavorare con le autorità libiche per sviluppare un piano per affrontare la situazione dei rifugiati e dei richiedenti asilo in modo umano e basato sui diritti. Molti - riporta il commento dell’agenzia Onu- hanno perso i loro rifugi di fortuna e i loro averi nelle operazioni di polizia di ottobre. Hanno bisogno di assistenza per garantire l'accesso all'alloggio e ai servizi di base in un momento di maggiore vulnerabilità”.

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