martedì 25 luglio 2023
La Commissione indipendente ha raccolto nuovi risconti e denuncia la filiera: dalla guardia costiera ai centri di detenzione fino alle milizie locali. A Kufra il cimitero dei torturati.
Un profugo sopravvissuto a una operazione di "salvataggio" dei guardacoste libici

Un profugo sopravvissuto a una operazione di "salvataggio" dei guardacoste libici - Archivio Avvenire

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Il cimitero degli scartati è a Kufra, lungo le piste desertiche verso il Sudan. Un camposanto tra sassi e sabbia con i resti di almeno 20 migranti seviziati e gettati nelle fosse. La commissione indipendente Onu sui diritti umani in Libia ha raccolto nuove prove sulla «complicità da parte delle autorità». Ma quando hanno chiesto chiarimenti hanno ricevuto «nessuna risposta».

Il dossier è stato chiuso a maggio e consegnato ai vertici Onu il 21 luglio. I Paesi coinvolti nelle relazioni con la Libia, a cominciare dall’Italia, ne sono stati informati. Ma nessuna denuncia ferma la consegna di motovedette e l’addestramento dei guardacoste che gli esperti Onu accusano di essere lo strumento essenziale per il mercato degli esseri umani.

La fossa comune di Kufra non è che un indizio. «Secondo le indagini e le testimonianze - si legge -, le sepolture sono avvenute in tempi diversi». La filiera del contrabbando di uomini coinvolge istituzioni e criminalità. Un sistema integrato che da una parte finge di assecondare le richieste europee per fermare i flussi migratori, e dall’altro lo alimenta alzando il prezzo che le cancellerie devono versare ai trafficanti attraverso i loro prestanome nelle istituzioni. Sono stati trovati «ragionevoli motivi per ritenere che il personale di alto livello della Guardia Costiera libica, dell'Apparato di Supporto alla Stabilità e della Direzione per la Lotta alla Guardia costiera libica, dell'Apparato di supporto alla stabilità e della Direzione per la lotta alla migrazione illegale - è l’accusa - sia colluso con trafficanti e contrabbandieri, che sarebbero collegati a gruppi di miliziani, nel contesto dell'intercettazione e della privazione della libertà dei migranti».

Si incassa per intercettare i migranti in mare, e si moltiplicano gli introiti per liberarli una volta condotti nei campi di prigionia a terra. Il gruppo di lavoro ritiene «le guardie chiedessero e ricevessero pagamenti per il rilascio dei migranti». Al punto da potere affermare che l’intero sistema, dalla cattura in mare ai respingimenti via terra, siano parte di uno schema di business collaudato: «La tratta, la riduzione in schiavitù, il lavoro forzato, la detenzione, l'estorsione e il contrabbando di esseri umani hanno generato entrate significative per individui, gruppi e istituzioni statali». Secondo l'Onu solo a Tazirbu, nel sud-est della Libia, negli ultimi due anni «almeno 700 persone sarebbero state rilasciate e trasferite in altri centri di detenzione dopo essere state tenute prigioniere e torturate a scopo di riscatto». Da Tripoli continuano a non rispondere alle richieste delle agenzie umanitarie Onu. «E fino a quando i governi europei - osserva un funzionario umanitario a Tripoli - continueranno a cedere al ricatto libico senza chiedere in cambio maggiore trasparenza, i boss continueranno a spadroneggiare». Nel dossier è scritto senza ricorrere ad acrobazie lessicali: «Siamo molto preoccupati per la situazione di molti altri migranti e rifugiati, comprese le vittime della tratta, che sono stati trasferiti in centri di detenzione dove non è stato acconsentito l'accesso ad agenzie umanitarie, avvocati o organizzazioni della società civile».

C’è poi il caso di 120 migranti e rifugiati apparentemente rilasciati dalla Direzione libica per la lotta alla migrazione illegale (Dcim) nel febbraio 2023. In realtà sono stati deportati in un luogo sconosciuto e in circostanze che potrebbero rientrare tra i crimini di «sparizione forzata» perché il gruppo continua «a essere detenuto senza avere accesso ad avvocati, assistenza o protezione».

Nelle ultime settimane, in concomitanza con la crisi migratoria in Tunisia e con le consegne di equipaggiamento per Tripoli dall’Italia, alcuni canali della propaganda libica mostrano con frequenza le operazioni di polizia per l’arresto di trafficanti di uomini. Nient’altro che un trucco per ingannare anche i governi europei, a cui far credere che in Libia le cose stiano cambiando e che la caccia ai contrabbandieri di esseri umani sia senza quartiere. Tra i molti, gli esperti Onu citano un caso. I nomi dei protagonisti sono coperti da omissis, anche perché tra loro vi sono alcuni ricercati della Corte penale internazionale le cui identità verranno tenute in segreto ancora per alcune settimane.

«Nonostante il coinvolgimento di almeno un noto cittadino libico - si legge nel report -, a quanto pare sono stati arrestati solo cittadini non libici per presunto coinvolgimento in abusi di detenzione». Allo scopo di coprire le «complicità da parte delle autorità libiche» a cui viene rimproverata «l'incapacità di condurre indagini efficaci per garantire la responsabilità di queste gravi violazioni dei diritti umani».



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