giovedì 11 ottobre 2018
Caritas e la rivista "Il Regno" analizzano la conoscenza nel nostro Paese dei temi relativi all'immigrazione e la propensione all'accoglienza da parte dei cittadini
La fiducia dei migranti e la sfiducia degli italiani
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La sfiducia è la chiave per capire l ’Italia impaurita dall’altro disegnata dalle urne lo scorso 4 marzo. Solo una minoranza è xenofoba, ma secondo il 51,6% degli italiani gli immigrati provenienti da Paesi extra Ue rappresentano più un problema che un’opportunità. Quindi è calata parecchio la disponibilità all’accoglienza incondizionata. Per capire cosa è cambiato nell’opinione pubblica italiana, i docenti della Statale di Milano Paolo Segatti e Federico Vegetti hanno realizzato un’indagine per conto della Caritas Italiana e della rivista "Il Regno".

Lo studio conferma la distorsione della realtà migratoria in Italia, infatti secondo i dati Ocse ed Eurostat nel 2017 è il Paese nel quale lo "spread migratorio", la distanza tra percezione su numero di migranti legali e realtà è più grande. Tuttavia l’opinione pubblica italiana non è la più miope in Europa. Se rapportata al numero effettivo d’immigrati la distorsione di cui soffrono gli italiani nel 2017 è di gran lunga inferiore a quella di cui soffre l’opinione pubblica dell’Europa dell’Est. È però maggiore di quella di altre opinioni pubbliche occidentali. Per i ricercatori le cause possono essere due. Da un lato "la decennale campagna di alcune formazioni politiche sui clandestini, un’entità dai contorni vaghi ma surrettiziamente fatta coincidere con quella dell’immigrato". Dall’altro la conseguenza indiretta delle procedure relative al trattamento delle richieste d’asilo, "che non riuscendo a governare tutte le fasi del processo finiscono spesso per gettare letteralmente sulla strada persone in attesa del giudizio finale".

Anche la crisi economica ha inciso e ci ha sicuramente resi meno accoglienti. Poi il livello di istruzione: infatti i più preoccupati sono i meno istruiti, con una differenza tra coloro che hanno finito la scuola dell’obbligo e i laureati di 30 punti percentuali. Ma non sono spiegazioni esaurienti. I vari dati analizzati dimostrano che né lo stato dell’economia nel 2017 rispetto a quello del 2007, né lo scostamento tra la percezione e la realtà del fenomeno migratorio influiscono significativamente sulla formazione dell’equazione " immigrazione uguale problema". Invece, decisiva è la sfiducia, la convinzione cioè che il proprio Paese e quindi le sue istituzioni siano gravate dalla corruzione. Dove la stragrande maggioranza degli intervistati ritiene che la corruzione sia diffusa (Italia, Spagna e Portogallo), la probabilità di considerare l’immigrazione più un problema che un’opportunità è di 24 punti percentuali superiore rispetto ai Paesi dove la corruzione è un fenomeno meno sentito (Danimarca o Finlandia). Insomma, nella percezione che gli immigrati rappresentano un problema ci sta anche la sensazione di vivere in uno Stato di cui non ci si può fidare, oltre che ovviamente l’esposizione al rischio rappresentato dagli eventuali comportamenti criminali degli stranieri residenti.

La ricerca ha misurato anche la propensione all’accoglienza dei cattolici misurando l’orientamento religioso sulla base della frequenza alla celebrazione eucaristica. Coloro che non si recano mai in chiesa sono anche quelli che, tra gli intervistati, hanno la minore propensione a percepire l’immigrazione come una minaccia. All’opposto, coloro che frequentano la chiesa sporadicamente sono il gruppo che maggiormente percepisce gli immigrati come una minaccia. I cattolici praticanti si trovano più o meno nel mezzo, più vicini ai praticanti occasionali per quanto riguarda la percezione di minaccia culturale e della sicurezza e più simili ai non praticanti per la minaccia economica. Dati che colpiscono don Francesco Soddu, direttore della Caritas nazionale. "Abbiamo scelto di condividere con la rivista Il Regno un’indagine sul tema dell’atteggiamento degli italiani sulla paura dell’altro -spiega- per fornire uno strumento di comprensione delle tendenze in atto e avviare una riflessione a livello nazionale e locale, superando la dimensione della contrapposizione. Forse c’è stato un deficit di comprensione di quanto stava avvenendo. Le ferite aperte da una crisi economica tardivamente affrontata – con i suoi esiti di impoverimento e incertezza – hanno probabilmente accelerato processi di ripiegamento, di evaporazione delle reti sociali, di isolamento individuale e di enfatizzazione del sentimento della paura dell’altro".







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