mercoledì 10 maggio 2023
21 mesi dopo l’arresto cardiaco che ha causato gravi danni cerebrali, il 58enne ricoverato in una struttura della provincia di Oristano potrebbe morire per il distacco dei supporti vitali.
In stato vegetativo, cure interrotte? La vita di Andrea in mano al giudice

Ansa

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Andrea deve morire. Lo dicono la legge, i medici, le figure che lo rappresentano: tutto a posto, si direbbe. Ma in un destino così drammatico che pare ormai scritto c’è qualcosa che invita a non archiviare in fretta la notizia come una procedura inesorabile, e a riflettere con grande attenzione – e altrettanto rispetto – su quel che sta accadendo nella struttura della Fondazione Istituti riuniti di Assistenza sociale di Mi-lis, in provincia di Oristano. In questa realtà assistenziale specializzata in servizi ad anziani e disabili è ricoverato Andrea Manca, ex sindacalista Cgil di 58 anni di Solarussa, in stato vegetativo ormai da 21 mesi. Era il 22 luglio 2021 quando l’uomo, colpito dal Covid, ebbe un infarto, con arresto cardiaco.

Le sue condizioni apparvero subito disperate, con l’arrivo in ospedale in una situazione di coma post-anossico, ovvero con l’organismo che per alcuni minuti era rimasto privo di ossigeno. In questi casi i danni cerebrali sono gravissimi, anche se ci sono pazienti dei quali si riescono a rivitalizzare alcune funzioni. Purtroppo Andrea non fa parte di questa casistica: per i medici la sua è una «prognosi di recupero negativa rispetto alla coscienza ». Sappiamo che, dal caso Englaro (2009) in poi, per capirci, la scienza ha esplorato nuove possibilità diagnostiche sui gravi disturbi di coscienza nelle cerebrolesioni acquisite, e non è detto che un paziente in stato di incoscienza da tempo non abbia una sua forma di percezione di ciò che gli accade attorno. Chi ha in cura Andrea si dice certo che non possa riprendersi, ma in queste situazioni di confine resta sempre un margine di dubbio sulla coscienza del paziente proprio grazie alle sempre nuove conoscenze della neurologia. Un’area di incertezza che potrebbe indurre a non arrivare a quella che sembra la conclusione inevitabile.

Perché con l’udienza di lunedì si è conclusa la fase istruttoria condotta sul caso dal giudice della sezione civile del Tribunale di Oristano Gabriele Bordiga, cui si era rivolto il fratello minore dell’uomo, Alessandro (che è anche amministratore di sostegno), per chiedere la sospensione dei presìdi sanitari che sostengono le funzioni vitali di Andrea. Di lui non ci sono Disposizioni anticipate di trattamento ma testimonianze di quanti lo conoscevano, che riferiscono la sua contrarietà a restare attaccato a una macchina per vivere. La legge 219 del 2017 sulle Dat ha equiparato gli ausili meccanici per sostenere le funzioni vitali alle terapie, rendendole quindi sospendibili a richiesta del paziente.

Ma in mancanza di una volontà certa ci si è affidati al giudice, che ora deve decidere se assecondare la richiesta di far morire Andrea autorizzando a “staccare la spina” oppure disporre la prosecuzione di quelli che sono sostegni vitali in una persona in stato di “veglia a-responsiva”, come dice la scienza più recente, lasciando con la stessa terminologia un margine di dubbio. In caso di decisione per la morte va capito se la struttura di Milis accetterà di farsi carico della procedura, se lo farà l’hospice di Oristano oppure un altro centro individuato dal giudice. Ma chi può dirsi certo, in una condizione fisica e umana tanto misteriosa, che la morte sia davvero la soluzione migliore?

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