domenica 9 ottobre 2016
Oltre 19mila vivono in comunità. Mancano dati, progetti, politiche.
INTERVISTA Brambilla (Commissione Infanzia): «Sostenere le famiglie»
Il rebus dei minori allontanati
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Qual è il primo pensiero quando si leggono titoli del genere: 'Strappato alla famiglia per decisione del giudice, scappa nel tentativo di rientrare a casa'. Oppure: 'Minore conteso prelevato a scuola dalla polizia'? Sconcerto, disorientamento. Anche un po’ di fastidio, ammettiamolo. Perché rassegnarsi al fatto che una società civile, con leggi democratiche, rispettosa dei trattati internazionali, non trovi altra strada per “tutelare” i minori finiti in situazioni di conflitto, se non quella di progettare blitz con forze dell’ordine e assistenti sociali, vuol dire aver perso di vista l’interesse autentico di bambini e ragazzi. Eppure la prassi è largamente diffusa. Quando un giudice minorile decide di sottrarre un bambino alla potestà genitoriale per inviarlo in affido o presso un istituto, non si ferma davanti a nulla. Tanto meno al fatto che il bambino sia all’oscuro di tutto. Che non sia stato adeguatamente preparato. Che ignori la sua destinazione. La replica sembrerebbe molto semplice: il giudice agisce per cause di forza maggiore. Si tratta di salvare un minore da situazioni potenzialmente a rischio, oppure di tutelare il diritto di un genitore sancito da sentenze passate in giudicato. Spesso però – molto spesso – la situazione è ben diversa. E invece di assicurare un maggior benessere al minore, si finisce non solo per farlo soffrire, ma anche procurargli un danno. Le conseguenze sulla salute per esempio risultano immediate. Lo dimostra la storia che raccontiamo qui sotto, ma anche l’esperienza condivisa di tanti genitori separati che si sono visti sottrarre il figlio dall’oggi al domani, con decisioni la cui ratio appare largamente discutibile. Ma quali sono i criteri con cui bambini e ragazzi vengono tolti alle famiglie? Se n’è parlato in occasione dell’Indagine conoscitiva sui minori fuori famiglia condotta tra 2015 e 2016 dalla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza. Il lavoro è chiuso, ma manca il documento conclusivo. È già possibile comunque, sulla scorta dei numerosi interventi presentati, mettere in evidenza alcuni punti chiave. In Italia mancano linee guida chiare e univoche per quanto riguarda l’allontanamento dei minori. Tempi e modalità degli interventi sono affidati alla sensibilità – o meno – di giudici e assistenti sociali. E questo, inevitabilmente, comporta il rischio di gravi abusi. Senza contare che ogni regione sembra seguire parametri molto diversi (con percentuali di minori inviati in comunità che variano di conseguenza) e che manca un registro nazionale per bambini e ragazzi che vivono fuori dalla famiglia di origine.Incertezza dei dati. L’ultima statistica ufficiale sui minori che vivono fuori famiglia risale al 2012. Parlava di 28.459 bambini e ragazzi, di cui 14.255 in comunità residenziali e 14.194 in affido familiare. Questo dato – circa 30mila minori fuori dalle famiglie di origine – è diventato quasi un luogo comune. E, come tutti i luoghi comuni, potrebbe essere molto inesatto. In mancanza di un’anagrafe centrale aggiornata – bisognerebbe farlo almeno semestralmente, viste le fluttuazioni soprattutto per quanto riguarda i minori stranieri – non resta quindi che affidarsi alle ricerche parziali. La più esaustiva è stata realizzata nel 2014 dal Garante per l’infanzia che ha raccolto sperimentalmente i dati delle 29 procure dei minori. Bambini e ragazzi al di sotto dei 18 anni che vivono nelle 3.192 strutture residenziali sono 19.245 (pari a 6,7 presenze in ciascuna struttura). Il 43% è di origine straniera. Il 57% ha tra i 14 e i 17 anni, il 15% meno di 6 anni. Nel frattempo sono passati altri due anni. Come si saranno modificati questi dati? Se in due anni i minori in comunità residenziali sono passati da 14mila a oltre 19mila, per i minori in affido che risultati potremmo trovare? Nessuno è in grado di dirlo.Nessuna progettualità.  Rimane il problema dei criteri che dovrebbero guidare la decisione di lasciare o togliere un minore dalla famiglia. Non esistono linee guida uniformi. Lo prova la diversità dei tassi di allontanamento da regione a regione. È del 5,2 in Liguria, del 3,9 del Trentino, del 2 in Veneto. E sarebbe il caso di tenere conto anche di differenze ancora più evidenti da provincia a provincia, sulla base delle diverse sensibilità dei servizi sociali. «Più che di sensibilità parlerei di risorse – ha dichiarato durante l’Indagine conoscitiva il presidente del Consiglio nazionale degli assistenti sociali, Gianmario Gazzi –, ci sono Comuni dove opera un solo assistente sociale, si fanno bandi per soli 3 mesi, addirittura a titolo gratuito. Spesso siamo additati come i “nemici della famiglia” ma anche per noi l’allontanamento di un bambino dalla famiglia è un evento doloroso, a cui si ricorre solo dopo aver tentato ogni altra via».
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