lunedì 11 gennaio 2010
Il disegno di legge sul processo breve sarà discusso da domani nell'aula del Senato. La maggioranza presenterà una serie di emendamenti che puntano ad eliminare alcune possibili cause di incostituzionalità.
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Il vertice del Pdl, riunito sotto la presidenza di Silvio Berlusconi, arrivano segnali molto precisi. L’idea, già espressa dal premier, e confermata ieri in modo più solenne, è quella di andare avanti come un rullo compressore con le leggi ordinarie per riformare la Giustizia e di offrire, semmai, la mano alle opposizioni per le riforme di carattere costituzionale, come il lodo Alfano o la reintroduzione dell’immunità parlamentare. Mettendo in conto, almeno nella prima fase, proteste e chiusure. Non è dunque un caso che l’offensiva mediatica degli esponenti del centro destra sia concentrata nel negare con decisione e all’unisono che il processo breve e il legittimo impedimento – norme che alle minoranze parlamentari paiono indigeste – siano in qualche modo leggi ad personam. A dare il la, ieri mattina, è stato proprio il portavoce del premier, il sottosegretario Paolo Bonaiuti, uno dei "registi" più ascoltati del presidente del Consiglio: «Non si tratta di leggi ad personam – ha detto –  ma di combattere una giustizia ad personam. Cioè di dare una risposta ad una giustizia politicizzata che ha colpito in modo evidente Berlusconi». E così tutti gli altri, Berlusconi compreso,  a seguire. Ed ecco il parere autorevolissimo del ministro della Giustizia Angelino Alfano, che annuncia la politica del doppio binario: «Partiranno immediatamente degli incontri all’interno della coalizione per definire la riforma costituzionale della Giustizia, la grande riforma da sottoporre al dibattito parlamentare. Nel frattempo andranno avanti i lavori dei disegni di legge che sono già stati calendarizzati alla Camera e al Senato e che sono all’odg».  Ovvero, il legittimo impedimento e il processo breve. Che Alfano ribadisce di non considerare leggi ad personam: la prima, spiega, «è una legge che assicura il diritto a governare»; la seconda «assicurando tempi certi per la soluzione delle controversie in tribunale è una legge che l’Europa ci chiede e che è un diritto sacrosanto dei cittadini». Sul processo breve, intanto, c’è qualche novità. Per venire incontro alle critiche più aspre e, anche, ai possibili rilievi della Corte Costituzionale, il relatore del testo Giuseppe Valentino (Pdl) ha presentato un maxi-emendamento in Senato, che rimodula, allungandoli in molti casi, i tempi previsti prima che la ghigliottina della prescrizione cada inesorabilmente, annullando di fatto il procedimento in corso. Il testo precedente prevedeva infatti il termine di due anni per ogni singolo grado di giudizio (primo grado, appello, Cassazione). L’emendamento Valentino, secondo quanto riferito dal presidente della Commissione Giustizia del Senato Filippo Berselli, prevederà più tempo per il primo grado (tre anni), due per l’appello e un anno e mezzo per la Cassazione, per i reati punibili fino a 10 anni di reclusione. Per i reati più gravi, con pena superiore ai 10 anni, il processo di primo grado potrà durare fino a quattro anni. Disciplina a parte per reati di mafia e terrorismo: cinque anni per il primo grado, tre per il secondo e due per il terzo, con la possibilità per il giudice di allungare i processi di un terzo del tempo, in caso di procedimenti complessi. Decisa anche la procedura retroattiva, ovvero per i giudizi in corso: si stabilisce la prescrizione dei processi per quei reati commessi prima del 2 maggio del 2006, che prevedono una pena inferiore ai 10 anni, e che sono rientrati nella lista dell’indulto. Per quanto riguarda, infine, il legittimo impedimento, alla Camera ieri scadeva il tempo per gli emendamenti: 70 vengono dal Pd, 90 dall’Idv, 5 dall’Udc e solo 3 dal Pdl.«Così a rischio tutte le riforme». Lo attendeva anche Pierluigi Bersani il rientro del premier. Sul suo tavolo, il confronto sulle riforme. Ma al termine del vertice di maggioranza che fa il punto, a partire dalla riforma del processo breve, la reazione del segretario del Pd è quanto meno stizzita: «Sarebbe questa la prima mossa del "partito dell’amore"? – si chiede – Andando avanti a testa bassa sui suoi provvedimenti, il governo sa bene che mette a repentaglio una discussione di sistema sulle riforme istituzionali, ivi compreso il rapporto tra Parlamento e magistratura». Se davvero il tavolo si deve fare, le premesse non sono quelle uscite dall’incontro di Palazzo Grazioli, spiega il leader democratico, alle prese con un partito già in buona parte scettico sull’ipotesi di collaborare con gli avversari. Bersani, allora, vuole vedere tutte le carte. «Non bastano i giochi di parole o le finte benevolenze verso l’opposizione – dice – a nascondere la realtà dei fatti. La nostra disponibilità è quella dichiarata più volte». E cioè quella di un dialogo, purché «si sospendano i provvedimenti che governo e maggioranza hanno annunciato, e si discuta subito dell’ammoderna-mento del nostro sistema». Un punto fermo su cui il leader piddì ritrova il consenso pieno del partito, pure se nelle stanze del nazareno risuonano le parole del presidente della Repubblica sulla necessità di fare insieme le riforme. Nel Pd sono in tanti a non aver apprezzato la ripresa dei lavori del Pdl. Da Bindi a Franceschini, da Finocchiaro a Casson. Tutti convinti che «quello che di negativo si poteva prevedere – per dirla con le parole di quest’ultimo – sta avvenendo». Vale a dire: le riforme ad personam, con il maxiemendamento sulla giustizia, «dimostrano che governo e maggioranza non hanno alcuna volontà di dialogo e di confronto». In sostanza, concorda la presidente del Pd, «si continua a ragionare dei problemi di Berlusconi e non dei problemi che stanno a cuore a tutti i cittadini». Dal primo vertice dopo la lunga pausa dovuta all’infortunio e alle vacanze natalizie, l’opposizione si aspettava qualcosa di diverso. «Questo sarebbe il confronto? Ci hanno messo un dito nell’occhio», tuona la presidente dei senatori Anna Finocchiaro. Resta l’ottimismo di Luciano Violante. Che però specifica, in linea con il partito, come «la posizione del Pd sulle riforme è da tempo chiara. Siamo contrari a leggi ad personam comunque si chiamino, processo breve, processo certo o legittimo impedimento. Siamo contrari a riforme costituzionali sulla giustizia fuori da un quadro complessivo di interventi». Ma le riforme vanno fatte e vanno fatte in fretta, nel rispetto «dei principi fondamentali della Costituzione repubblicana: Repubblica parlamentare, indipendenza della magistratura, equilibrio tra i poteri dello Stato e a ciascun potere deve corrispondere una precisa responsabilità». Insomma, sintetizza Bersani, «non siamo per il tanto peggio tanto meglio ma Berlusconi deve sapere che non decide lui quando si fa l’amore e quando si litiga». Perciò «se il Parlamento viene invaso da quello che ho definito uno tsunami con iniziative che, pur avendo l’apparenza della generalità, hanno l’urgenza della soluzione del problema di uno noi, non siamo disposti perché pensiamo che questa cosa possa pregiudicare un discorso di sistema, per l’Italia e per tutti gli italiani». Un punto fermo, sul quale dalla minoranza interna Ignazio Marino chiede una discussione in una Direzione.
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