sabato 25 giugno 2022
Di Perri: Omicron assomiglia a un’influenza, pericolosa solo per chi ha quadri di salute già compromessi, per i più fragili e i più anziani con malattie pregresse, soprattutto se non vaccinati
L'infettivologo Giovanni Di Perri, direttore del reparto Malattie infettive all'ospedale Amedeo di Savoia di Torino

L'infettivologo Giovanni Di Perri, direttore del reparto Malattie infettive all'ospedale Amedeo di Savoia di Torino - Imagoeconomica

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Di tre piani dedicati alla Malattie infettive, all’ospedale Amedeo di Savoia di Torino, uno solo è rimasto esclusivamente dedicato ai pazienti Covid «e al momento – spiega il direttore Giovanni Di Perri – è mezzo vuoto. Negli ultimi tre mesi, a dire il vero, s’è trasformato in una grande reparto di geriatria: per lo più pazienti over 80, con gravi patologie pregresse respiratorie o cardocircolatorie, risultati positivi al tampone solo dopo l’ingresso». La più giovane, 65 anni, non vaccinata, in notevole sovrappeso, ha varcato la porta ieri mattina «e non corre rischi particolari. Faceva fatica a respirare prima, la fa a maggior ragione ora, senza che gli esami abbiano rilevato polmoniti». La differenza tra chi guarda i numeri e chi i malati emerge con tutta la sua forza nel racconto dell’infettivologo.

Professore, non sembra allarmato. Perché?

Perché credo non ci siano motivi per esserlo. Lo dico senza peli sulla lingua: se avessimo registrato 56mila casi di Covid a ottobre scorso, quando del virus dilagava la variante Delta, conteremmo i morti sui marciapiedi. Senza contare che i 56mila casi medi di questi giorni sono in realtà almeno tre volte tanti: un italiano su tre (e forse è ancora un numero sottostimato) scopre di essere positivo a casa, con un tampone fai da te, e non segnala il contagio alle Ats. Significa che con una media di oltre 150mila casi al giorno registriamo una trentina di ingressi in terapia intensiva e un centinaio in area medica: un’inezia, rispetto ai numeri di ospedalizzazioni a cui il Covid ci aveva abituati in passato.

I numeri dei ricoveri però potrebbero crescere repentinamente, come stanno facendo quelli dei contagi...

E lo faranno, ma non perché qualitativamente ci troviamo di fronte a un Covid letale o grave. I vaccini hanno fatto il loro lavoro e continuano a farlo: la maggior parte della popolazione ha sviluppato anticorpi contro la malattia e i risultati lo abbiamo visti nel corso dell’ultimo anno. Il problema con la variante attuale, BA.5 di Omicron, è la sua contagiosità: il virus, per ricominciare a correre, ha stravolto il suo mantello adattandosi alle cellule epiteliali delle vie aeree superiori. Oggi incontriamo pazienti con mal di gola fastidiosissimi, in alcuni casi tracheiti, ma senza polmoniti: per intendersi, nel nostro reparto di Torino non incontriamo una polmonite bilaterale da Covid da oltre tre mesi. E chi muore, o è morto da Natale in avanti, lo ha fatto con il Covid, non a causa del Covid. Si è detto spesso che Omicron assomiglia a un’influenza: vi assomiglia nel senso che diventa pericolosa soltanto per chi ha quadri di salute già compromessi, per i più fragili e i più anziani con malattie pregresse, soprattutto se non vaccinati. In questi casi, proprio come fa l’influenza, il Covid fa precipitare i quadri clinici, li scompensa. Da Natale non vediamo pazienti giovani nei nostri reparti.

Il problema quindi, dice lei, è quantitativo: ricoveri, e dunque casi gravi, aumentano solo tra i più anziani e i più fragili (specie se non vaccinati) perché i casi sono più di quanti ne abbiamo mai avuti.

È così, e qui pesa con forza anche lo squilibrio demografico del nostro Paese a favore degli anziani. Mi spiego ancora meglio però: il problema è che l’influenza agisce in questo modo, compromettendo i quadri clinici più precari, soltanto 8 settimane all’anno, nei mesi invernali. Il Covid invece – e ce lo sta dimostrando con questa fiammata estiva – lo fa sempre. A giugno o luglio non abbiamo mai avuto malattie delle vie respiratorie prima, ora dobbiamo fare i conti con questa.

Occorre tornare alle restrizioni?

Sarebbe assurdo, a livello generalizzato e coercitivo. Quello che invece è essenziale – e dovremmo averlo imparato tutti dopo due anni di pandemia – è la responsabilità individuale: se ho più di 70 anni, ho malattie pregresse e magari non sono vaccinato devo indossare sempre la mascherina e prestare attenzione al mio stile di vita. Se ho parenti anziani, fragili e non vaccinati devo incontrarli con la mascherina, o evitare di incontrarli, devo metterli meno a contatto coi bambini. Il nostro comportamento, insomma, dev’essere proporzionale al rischio che sappiamo di correre o di far correre alle persone che ci circondano. Nel piano inclinato verso l’endemizzazione del virus quello che sta accadendo non è necessariamente negativo: migliaia di persone stanno acquisendo un’immunizzazione spontanea competente contro la variante che diventerà dominante nei prossimi mesi. L’obiettivo è restare in equilibrio col virus: sta a noi imparare a farlo come con gli altri.

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