mercoledì 14 settembre 2022
Parla il presidente del Consiglio superiore di sanità: il punto fondamentale è la tempestività della profilassi, non la tipologia di booster. Anche quelli già disponibili proteggono da Omicron 4 e 5
Franco Locatelli

Franco Locatelli - Ansa

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Si alza l’allerta per l’imminente stagione autunnale. I mesi più freddi porteranno infatti con grande probabilità a una nuova ondata di contagi da Covid-19 e, contemporaneamente, è prossimo l’arrivo dell’influenza stagionale, che quest’anno si preannuncia particolarmente impegnativa. Una “duplice minaccia” alla quale bisogna prepararsi e la prima arma da utilizzare – il ministero della Salute è tornato a ribadirlo con forza – è la vaccinazione che, quest’anno, potrà essere effettuata in versione “combo”, ovvero con la somministrazione contemporanea in un’unica seduta del vaccino antiCovid e dell’antinfluenzale. Una doppia immunizzazione che gli esperti consigliano fortemente, soprattutto per la protezione delle fasce maggiormente a rischio di complicanze gravi come anziani e soggetti fragili. Il rischio da scongiurare è quello di un intasamento delle strutture sanitarie per il persistere di due emergenze concomitanti.


Con i nuovi e ora anche nuovissimi vaccini in arrivo (sviluppati considerando la sequenza di Rna messaggero delle sottovarianti di Omicron) e poco più di 160 persone ricoverate in terapia intensiva, il Covid non fa più tanta paura. Siamo ufficialmente entrati «in quella fase di endemizzazione di cui parlavo già sul finire della scorsa primavera», spiega il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli. Questa situazione di controllo epidemiologico ha permesso di ottenere come risultato importante la riapertura delle scuole senza mascherine, con la Dad chiusa nel cassetto dei ricordi. Una svolta capace di emozionare anche un uomo di scienza, specie dopo i mesi delle decisioni difficili e delle restrizioni, «che non verranno più».

Professore, come ci siamo arrivati?
Con i vaccini. Attraverso gli avanzamenti tecnologici e la flessibilità della piattaforma a Rna che ci ha consentito di dare un risposta a un virus sconosciuto in pochissimi mesi, riducendo marcatamente il rischio di sviluppare malattia grave o addirittura fatale e ora, grazie ai vaccini adattati, offrendoci il vantaggio di una risposta anticorpale neutralizzante per i sottolignaggi predominanti migliore rispetto ai vaccini tradizionali. Ribadisco quanto ho illustrato pochi giorni fa nel corso della conferenza stampa con cui abbiamo presentato la campagna vaccinale d’autunno, ricordando i risultati riportati in uno studio pubblicato sul New England Journal of medicine: nel primo anno della loro applicazione i vaccini hanno salvato 20 milioni di vite nel mondo. Un numero che corrisponde a un terzo della popolazione italiana.

A proposito di campagna vaccinale, cosa si aspetta da quella che è appena ripartita?
Fondamentale in questa fase è conferire ulteriore protezione rispetto al rischio di sviluppare malattia grave o di morire. In questo, i vaccini finora esistenti avevano già mostrato grande efficacia e ci si aspetta che un ulteriore vantaggio possa essere offerto dai nuovi vaccini, i quali, come i precedenti, hanno minore efficacia in termini di protezione dall’infezione, che però decorre, grazie ai vaccini, in maniera asintomatica o con pochi sintomi. Ecco perché raccomandiamo che aderiscano alla campagna prioritariamente le persone a rischio, cioè chi per questioni anagrafiche o per patologie concomitanti è più esposto: mi riferisco in particolar modo agli over 60 o a chi presenta un’alterazione della risposta immunologica, a chi soffre di fibrosi polmonare, ai diabetici, a chi ha problemi cardiaci seri, tanto per fare un esempio. Ma la raccomandazione si estende anche agli operatori sanitari, a chi lavora nelle Rsa e agli ospiti di queste strutture, alle donne in gravidanza. Lo strumento che abbiamo già – ora – sono i vaccini bivalenti di cui parlavo, approvati dalle agenzie regolatorie all’inizio di settembre: metà del loro Rna deriva dal ceppo originale del virus comparso a Wuhan, e l’altra metà dalla sottovariante BA.1 di Omicron. Gli studi dimostrano come questi vaccini determinino un aumento significativo dei titoli anticorpali anche contro BA.4 e BA.5, dominanti nel nostro Paese.

Ora però arrivano anche quelli nuovissimi, disegnati proprio su BA.4 e BA.5, approvati dall’Ema due giorni fa. Qualcuno, anche tra gli scienziati, sostiene che questo possa generare confusione tra le persone e che possa scattare una corsa all’ultimo vaccino.
Tutti i vaccini che abbiamo sono validi ed efficaci nel prevenire la malattia grave e la morte da Covid. Il punto fondamentale è la tempestività della vaccinazione, non la tipologia di vaccino con cui si procede alla somministrazione: la stessa Ema, nel comunicato elaborato in collaborazione con Ecdc, lo ha spiegato a chiare lettere proprio in occasione dell’approvazione dei bivalenti.

Quindi non ha senso aspettare?
No. I vaccini approvati lunedì e codificati per BA.4 e BA.5 arriveranno in Italia non prima di due o tre settimane. Ritardare la vaccinazione nelle categorie a rischio che ho elencato poco fa, specie se il precedente richiamo è lontano nel tempo, sarebbe un errore.

Che fare invece se non si fa parte delle categorie a rischio? Per i nuovi vaccini è stato dato un via libera generalizzato: possono riceverli tutti gli over 12, a patto che l’ultima vaccinazione o l’eventuale infezione da Covid risalgano a più di 4 mesi fa.
Nell’offrire questa possibilità le autorità sanitarie italiane si sono allineate alla posizione espressa dall’Ema: possono ricevere, su base volontaristica, i nuovi vaccini anche le persone che non rientrano nelle categorie sopra riportate, disponendo noi di vaccini connotati da favorevole profilo di sicurezza, efficaci e aggiornati. Per fare un esempio ancora più concreto e di facile comprensione: se una persona ha 48 anni ed è sana, può certamente ricevere il vaccino se lo richiede, a maggior ragione se l’ultimo richiamo è lontano nel tempo. Perché non dovrebbe poterlo fare?

La campagna sulle quarte dosi, però, non ha avuto il successo di adesioni auspicato... Perché questa dovrebbe riscuoterne di più?
Per almeno tre motivi. Primo: per molti sono passati ormai parecchi mesi dall’ultima dose di vaccino ricevuto e i dati disponibili ci indicano che la risposta immunologica, soprattutto anticorpale, declina progressivamente con il tempo. Secondo: ci prepariamo all’arrivo dei mesi freddi, che per definizione sono favorevoli alla diffusione di virus respiratori tra cui rientra anche Sars-CoV-2. Terzo: ci troveremo a vivere con molta più frequenza in spazi chiusi. Senza contare che la cultura vaccinale dovrebbe connotare ormai il nostro Paese: così come raccomandiamo la vaccinazione antinfluenzale o quella anti-pneumococcica, dovremmo procedere alla vaccinazione anti-Covid.

Professore, ma davvero non torneremo più a chiusure e restrizioni?
Non c’è alcun segnale che allarmi rispetto a questa direzione. Al momento l’occupazione dei posti letto di area medica o nelle terapie intensive è assai limitata. Bisogna tener conto anche dell’enorme quota di soggetti che si sono infettati in questi mesi senza presentare sintomi: un numero di persone così consistente beneficia della cosiddetta “immunità ibrida”, generata cioè dallo stimolo indotto dai vaccini e dall’infezione da parte di Sars-CoV-2.

A un certo punto avremo vaccini in eccedenza. Anzi, molti dei primi scadranno a breve...
A fronte del quadro positivo presente nel nostro Paese, resta ancora il problema di garantire l’equità di accesso alla vaccinazione in tutte le parti del mondo. Abbiamo zone dell’Africa dove meno del 20% della popolazione ha beneficiato della profilassi, contro il 90% degli italiani. È chiaro che esistono difficoltà oggettive di distribuzione e conservazione dei vaccini, soprattutto legate alla catena del freddo che i prodotti a Rna richiedono, ma la sfida dei prossimi mesi è fare tutti gli sforzi perché i vaccini arrivino dove ce n’è più bisogno. Da questo punto di vista voglio segnalare – e lo faccio con orgoglio – come l’Italia sia stata tra i Paesi che hanno più donato dosi di vaccino: 58 milioni, per l’esattezza, di cui 54 fornite tramite il programma Covax e altre 4 attraverso accordi bilaterali. È un segno di attenzione e sensibilità, mi faccia dire, anche etica per chi vive in condizioni socio-economiche meno fortunate di noi.

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