venerdì 26 giugno 2009
Decisione unanime dell'organismo culturale dell'Onu nell'assemblea di Siviglia. L'unico precedente italiano erano le isole Eolie.
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Li chiamano i "monti pallidi". In verità sono le montagne più belle del mondo, tanto che il Pelmo, nel cuore delle Dolomiti, è soprannominato "el caregon del Padre Eterno". E l’espressione dialettale dice quanto la montagna possa evocare la disponibilità dell’uomo a riconoscere la presenza del Mistero, a "guardare in alto". Le Tre Cime di Lavaredo, icona delel Dolomiti, sono contese tra le province di Bolzano e di Belluno. Ma chi non conosce il Catinaccio, la montagna che si colora? O, dall’altra parte della catena, il "Campanile di val Montanaia" scalato da Mauro Corona ed Erri De Luca alternando poesia e preghiera. Nove gruppi di Dolomiti sono entrati a far parte della lista del patrimonio naturale dell’umanità dell’Unesco, per un’estensione di 142 mila ettari, a cui se ne aggiungono altri 85 mila di aree cuscinetto. La decisione ieri a Siviglia, dopo 4 anni di pressing, ma già nel 1992 Reinhold Messner, il re degli Ottomila, aveva lanciato l’idea. Una protezione così simbolica, come quella dell’Unesco – ma in grado, secondo gli esperti, di aumentare le presenze turistica addirittura del 30% – è stata voluta dalla Commissione dei 21 membri dell’organizzazione, e formalizzata ieri a Siviglia durante una sessione del World Heritage Comittee, alla presenza, fra gli altri, del ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo. Sinora l’Italia aveva soltanto le isole Eolie riconosciute come bene naturale d’interesse universale. Immaginarsi la soddisfazione delle province di Bolzano, Trento, Belluno, Pordenone e Udine, a cavallo delle quali si estende il patrimonio sottoposto a tutela. Nessun vincolo nuovo, però, arriva dall’Unesco. Era il timore dei montanari, che in molti casi si sentono prigionieri di norme imposte il più delle volte dall’esterno. Possono fregiarsi dell’autorevole tutela dell’Unesco le terre alte che sono già protette da parchi nazionali o regionali o dalle cosiddette "Zps" (zone di protezione speciale) o dai "Sic" (siti di importanza comunitaria) che fanno parte della "rete europea natura 2000". Si tratta per lo più della montagna in quota e di valli non particolarmente abitate. Ecco, allora, il massiccio della Marmolada, a scavalco del confine tra le province di Trento e Bolzano, l’ultimo ghiacciaio delle Dolomiti, sul quale, fra l’altro, è salito Giovanni Paolo II per pregare nella grotta della Regina della Pace, ad oltre 3.300 metri. E propria dalla vetta della Marmolada si possono scorgere numerosi gli ambienti "vincolati", dal monte Civetta al Pelmo, al Gruppo del Sella. Non si scorgono le Tre Cime perché nascoste dalle Tofane. Ma più in là godono di questa protezione sia il Gruppo del Brenta che quello del Puez-Odle. Mentre sul versante opposto, in provincia di Udine e Pordenone, svettano le Dolomiti friulane e dell’Oltrepiave. Meritano anche queste "crode", quasi austere, in qualche caso perfino wilderness, mentre così non sono lo Sciliar o il Latemar, o ancora i Cadini. Terre alte, si diceva, ma è da queste parti dove puoi trovare l’orso: non solo quello trentino, anche il cugino sloveno. Terre affascinanti non solo quando salgono, ma anche quando scendono, come il Rio delle Foglie, un canyon che non ha eguali nel mondo. È proprio qui che si può leggere, come in un libro aperto, la storia geologica della terra, grazie alle stratificazioni rocciose dei più diversi colori e gli innumerevoli fossili. Sarà una Fondazione a gestire questo patrimonio. Che le Dolomiti possono rischiare ora solo di perdere: con manomissioni che contraddicano la protezione già in essere. E che l’Unesco ha di fatto controfirmato.
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