martedì 27 febbraio 2024
L'arcivescovo Panzetta: a Crotone lo abbiamo fatto, creando un centro di ospitalità per le famiglie. L'immigrazione sicura potrebbe essere una panacea per una terra spopolata come questa
Monsignor Angelo Raffaele Panzetta

Monsignor Angelo Raffaele Panzetta

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«Il territorio e ancor più i parenti delle vittime e i sopravvissuti hanno diritto alla verità. Non ci possono essere sconti. È un diritto naturale sapere come sono andate le cose e poi assumersi le responsabilità. Questo è un bisogno primario. Tutti abbiamo diritto di sapere perché non siamo riusciti a evitare una strage a 50 metri dalle nostre spiagge». Sono le parole molto chiare e forti dell’arcivescovo di Crotone-Santa Severina, monsignor Angelo Raffaele Panzetta. Che critica il cosiddetto “decreto Cutro”, approvato dal Consiglio dei ministri convocato proprio in Calabria un anno fa, che sembra pensare solo a penalizzare gli immigrati e non ad aiutarli. «L’interesse deve essere colpire i trafficanti che vendono la carne umana, però la povera gente che si butta in mare in cerca di condizioni migliori non può essere criminalizzata. Non è questa la strada».
Cosa deve essere questo anniversario? Solo un ricordo o qualcosa di più?
Abbiamo fatto come Diocesi un momento di preghiera, perché nella nostra tradizione la preghiera per i defunti ha un valore importante, ma anche quella per le loro famiglie, per i superstiti, e anche per quegli uomini e quelle donne che ancora cercano di fare la stessa cosa che volevano le persone morte un anno fa, cioè provare ad abbandonare le loro terre per una vita più umana. Però la preghiera non toglie le responsabilità.
Per fare cosa?
Come comunità cristiana ci siamo chiesti con forza se la strage di Cutro ci ha fatto crescere: siamo diventati migliori, più umani, più credenti? E devo dire che qualcosa lo abbiamo fatto. Abbiamo allargato gli spazi fisici dell’accoglienza: avevamo a Crotone un dormitorio che però era fruito soprattutto da uomini e così abbiamo creato un centro di accoglienza per le famiglie e abbiamo in cantiere la realizzazione di una casa di accoglienza multifunzione per tutte le esigenze delle persone che si trovano in difficoltà.
Di fronte a un clima non particolarmente favorevole, la Chiesa continua ad essere Chiesa di accoglienza.
Nel magistero di papa Francesco ci sono quattro parole d’ordine per affrontare la questione e sono accoglienza, protezione, promozione e integrazione. Le prime due chiedono di sporcarsi le mani immediatamente, non si può fare filosofia su questo. Quando hai persone nel bisogno, si devono aprire le porte e proteggere, soprattutto i minori che potrebbero essere preda di squali che stanno in mare e purtroppo anche fuori dai bar.
Sembra non ci sia una sufficiente attenzione e che sia necessario un dramma per ottenerla.
Il Papa in occasione della strage disse che quel naufragio non doveva avvenire e si doveva fare il possibile perché non si ripetesse. Purtroppo queste parole non sono state ascoltate. Bisogna lavorare per una risposta al fenomeno del flusso migratorio, questa massa di disperati, di persone piene di speranza che cercano un futuro migliore. Ci vuole una risposta strutturale, condivisa, solidale. E questo non si vede ancora. I Paesi della Ue non riescono ad affrontarlo insieme e quindi il rischio serio è che la questione sia la cartina di tornasole di un’Europa nella quale si sono seduti a un tavolo gli egoismi nazionali. Serve un cuore aperto, mentre l’egoismo acceca. Non bastano interventi provvisori. Ci vorrebbe una progettazione alta. Anche la gente semplice della nostra terra sa che un’immigrazione sicura, regolare, è nell’interesse di tutti i Paesi. Qui in Calabria sarebbe una panacea per il problema demografico e lo spopolamento.
Un anno fa lei, l’imam e alcuni sindaci, vi siete inginocchiati davanti alle bare.
Quella scena è l’espressione di un grande dolore ma anche di un’empatia profonda che ci ha fatto superare tutte le diversità. Anche quest’anno l’imam è venuto al nostro momento di preghiera. Si sono create relazioni e questo è l’aspetto positivo di un dramma incredibile. Il dolore ci ha unito. Il dolore ha la capacità di distruggere ma anche, quando è vissuto nell’amore, di costruire comunione e ponti.
Trasformando il dolore in impegno…
Per questo in Diocesi non solo abbiamo pregato e aperto gli spazi dell’accoglienza, ma abbiamo posto in essere un bell’itinerario, promosso dalla Migrantes diocesana con la Consulta delle aggregazioni laicali, un cammino formativo con grandi esperti della questione che ci stanno aiutando a riflettere su problemi complessi che l’ideologia può falsarne la lettura. Bisogna studiare la questione migratoria che richiede una conoscenza umile e profonda per servire le persone e aiutarle. Questi penso che siano i frutti di una tragedia terribile: siamo cresciuti nella comprensione di queste dinamiche mondiali.
Mantenendo la memoria della tragedia.
Mai dimenticare. Ogni anno dovremo fare qualcosa per ricordare, ma soprattutto per organizzare momenti di confronto, di consapevolezza e di responsabilità.

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