sabato 8 ottobre 2016
I giudici: «Ma medici superficiali» . E la famiglia si rivolge al Csm.
Lo schianto di Stefano non finisce qui
 di Giuseppe Anzani
«Stefano Cucchi sarebbe morto ugualmente»
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La causa di morte di Stefano Cucchi è l’«inanizione». Cioè è morto di fame. La pubblicazione delle motivazioni della sentenza di assoluzione dei medici del Pertini - riconosciuti non colpevoli il 18 luglio nel processo d’appello bis della prima inchiesta - rivela che è «possibile individuare la causa della morte di Stefano Cucchi, come affermato dagli esperti nominati dalla Corte d’assise, nella 'sindrome da inanizione' o 'lesività da privazione di cibo e bevande'». I cinque medici indagati - dicono i giudici - avrebbero dovuto sì diagnosticare la sindrome da inanizione, ma «appare logicamente poco probabile che si sarebbe salvato», visto che il suo stato di salute aggravato da «numerose patologie: epilessia, tossicodipendenza, celiachia» e «stress da dolori per lesioni lombo-sacrali». Quelle appunto riconosciute come conseguenza del pestaggio. Le motivazioni - che riguardano il filone di indagine chiuso con le assoluzioni per tutti gli imputati, agenti di polizia penitenziaria e sanitari - non aggiungono elementi utili a individuare responsabilità. Come peraltro aveva fatto la perizia resa nota nei giorni scorsi nell’inchiesta bis, quella che ora vede indagati i carabinieri che arrestarono il 15 ottobre 2009 il giovane per possesso di droga. Quei periti - sulla base di campioni e documentazione e non con una nuova autopsia - affermavano che fu una «morte improvvisa ed inaspettata per epilessia». I giudici della III corte d’assise d’appello di Roma, nelle motivazioni dell’assoluzione, sostengono che «la morte è dipesa da una grave alterazione dei processi metabolici causata da un’insufficiente alimentazione e idratazione già iniziata prima dell’arresto, alla quale devono aggiungersi le numerose patologie da cui il predetto era affetto», dallo «stress dovuto ai dolori causati dalle lesioni lombo-sacrali », e da «un 'quasi' digiuno di protesta, elementi questi ultimi che hanno contribuito ad aggravare lo stato di deperimento organico in cui il paziente già si trovava a causa della grave denutrizione da cui era affetto». Morto per inanizione, dunque, cioè progressivo indebolimento dell’organismo per insufficiente alimentazione. C’è un passaggio che merita di essere evidenziato: i giudici riconoscono che diagnosticare l’inanizione non era facile, ma è anche vero che quei sanitari «operavano a continuo contatto con pazienti in stato di detenzione», nel 'reparto protetto' dell’ospedale Sandro Pertini. Pazienti che «attuando spesso 'scioperi della fame', presentavano problematiche nutrizionali e metaboliche analoghe a quelle di Cucchi » e dunque «avrebbero dovuto pervenire alla diagnosi». Detto ciò, «non vi è un’elevata probabilità logica che eventuali presidi terapeutici posti in essere in tale data avrebbero potuto salvare la vita del paziente». Ilaria Cucchi si dice «indignata e amareggiata». E annuncia un esposto al Csm e la richiesta di un incontro con Piercamillo Davigo, presidente dell’Anm: «Voglio sapere se considerano fisiologico questo andamento processuale ». Per Stefano Maccioni, legale della madre di Cucchi, al di là dell’inanizione o dell’epilessia «quanto avvenuto è legato causalmente alle lesioni subite da Stefano».
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