giovedì 21 marzo 2024
Premier prudente sui "venti di guerra" evocati dai vertici Ue. Crescono le distanze sia da Salvini sia da Orban e gli alleati conservatori. Soddisfazione per la Bosnia e la decisione su Rafah
Meloni al Consiglio Ue

Meloni al Consiglio Ue - Ansa

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Ognuno arriva a Bruxelles con la foto che il contesto interno consente. E così mentre Emmanuel Macron sbarca nei palazzi europei da novello boxeur, Giorgia Meloni è invece preceduta dalla fama internazionale che le ha procurato l’immagine della giacca che le nasconde il capo, immortalata mercoledì alla Camera. Addirittura il Wall Street journal le dedica spazio in prima pagina e la premier è costretta a chiarire, un po’ per rimediare (è stata accusata di scarso senso istituzionale) un po’ per evidenziare indirettamente l’impatto globale che ha la sua spontaneità.
Di certo l’immagine della testa sotto la giacca è diversa da quella dell’elmetto, che la presidente del Consiglio aveva utilizzato appena poche settimane fa per annunciare i tempi che stanno arrivando. Tempi di quasi-guerra, a voler sintetizzare la prima giornata di un Consiglio Ue atipico e circondato da una coltre di preoccupato (e preoccupante) silenzio, con poche decisioni da prendere eppure segnata dalla fatica di trovare una linea omogenea di politica estera. Anche sul finanziamento all’industria europea della Difesa si fa fatica: l’idea degli “eurobond” modello pandemia è sospesa, non cancellata. L’Italia ovviamente è favorevole, perché diversamente il contributo alla Difesa comune sarebbe molto più difficile da sostenere, alla luce dei problemi di bilancio.

La premier si è data un obiettivo, definito mercoledì al Quirinale nella colazione di lavoro pre-Consiglio Ue: arrivare ad una posizione comune su Gaza. L’intervento più articolato della giornata Meloni lo tiene proprio durante il pranzo con il segretario Onu Guterres, durante il quale interviene in qualità di presidente di turno del G7: per l’Italia serve un’immediata pausa umanitaria «che porti a un cessate il fuoco sostenibile», e inoltre preoccupano le prospettive di un’operazione di terra di Israele a Rafah, spiegano fonti di Palazzo Chigi. Le conclusioni sul punto, arrivate durante la cena a base di carciofi arrosto con crema di pistacchio e timballo di anatra, soddisfano Roma. Così come viene considerata una vittoria italiana l'avvio dei negoziati di adesione della Bosnia.

Non ci sono riferimenti diretti all’Ucraina. Certo la posizione del premier e del governo è chiara, è appena stata ribadita alla Camera e al Senato. Così come è scontato il sì alla proposta di riutilizzo degli asset russi per finanziare l’Ucraina. Ma fino a sera non arrivano dichiarazioni ufficiali della premier sul tema che attraversa la giornata: l’Ue deve prepararsi agli scenari peggiori?

Nelle bozze di conclusioni sull’Ucraina si sente molto il peso del recente vertice tra Germania, Francia e Polonia. Mentre la premier è stata sinora più prudente nell’evocare scontri diretti con la Russia e netta nel respingere l'ipotesi di truppe occidentali sul terreno ucraino. Ha chiesto sì di contrastare la propaganda di Mosca che può influire sulle elezioni europee, ma non di lanciare messaggi pre-bellici.

Il silenzio sembra un atto di prudenza. Anche perché intorno, tanto a Bruxelles quanto a Roma, la premier ha alleati difficili che sul dossier Ucraina-Russia la mettono in difficoltà, anche in chiave elettorale.

La premier che è stata mediatrice in diversi negoziati tra Unione e Ungheria non resta indifferente al fatto che il portavoce di Orbán - che sembra essersi riallontanato dai Conservatori - riporti i saluti del leader magiaro a Putin per la vittoria elettorale proprio dopo che Zelensky ha parlato ai Ventisette. Da Roma, invece, Salvini da un lato conferma che per lui Von der Leyen sarebbe «invotabile» per un bis al vertice della Commissione, dall’altro fa professione di trumpismo, glissando su Putin. Ma il vero nodo, per Meloni, è che si sta indebolendo l’idea di fare dei Conservatori europei un gruppo di destra sì critica, ma convergente nelle scelte con le altre famiglie europee. E così da Subiaco, dove si svolge una convention di Ecr, anche l’amico Jorge Vuxadé di Vox fa sapere che «Meloni farà come crede, ma il nostro voto non andrà a Von der Leyen». Insomma, non tutti, nella sua famiglia europea, sono disposti a seguirla in un disegno che conviene a lei in quanto capo di governo, ma non a chi, nei confini nazionali, continua ad avere l’interesse ad attaccare una Commissione “anti-sovranista”. Ragionamenti politici che però Meloni può inseguire fino a un certo punto, nella sua posizione di governo.

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