martedì 3 agosto 2021
L’ex ministro della Salute ricorda che le ricerche sui prodotti anti-Covid sono stati resi possibili anche da grandi investimenti pubblici e chiede all’industria maggiore generosità
Renato Balduzzi

Renato Balduzzi - Fotogramma

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L'Europa alle prese con la ripresa dei contagi spinti dalla variante Delta e l'ipotesi di dover ricorrere anche ad una terza dose, rischia di dover fare i conti con un aumento del prezzo dei vaccini per il Covid. Le voci che circolavano da mesi sembrano infatti confermate dal Financial Times che, riuscendo a vedere alcune parti dei nuovi contratti di Pfizer e Moderna per le prossime forniture all'Ue di 2,1 miliardi di dosi entro il 2023, ha confermato che il prezzo è schizzato. Un aumento che va oltre il ritocco all'insù: il nuovo costo di una dose Pfizer - riporta l'Ft - è di 19,50 euro, quattro euro in più rispetto ai 15,50 euro della precedente fornitura. Per Moderna il tariffario sale invece a 25,50 dollari a dose dai 22,60 dollari del precedente accordo. Ma meno dei 28,50 inizialmente previsti grazie ad un ampliamento dell'ordinativo da parte di Bruxelles.

Professore, se l’aspettava quest’aumento dei prezzi del vaccini?
Era una notizia nell’aria, ora confermata – ci risponde Renato Balduzzi, ex ministro della Salute e docente di Diritto costituzionale all’Università Cattolica –. Dal punto di vista del rapporto tra domanda e offerta è consequenziale alla situazione di mercato: non ci sono grandi concorrenti e gli oligopolisti fanno valere i loro interessi...

Verrebbe da dire: nulla di nuovo...
Adam Smith avrebbe detto che non dovevamo aspettarci il vaccino dalla benevolenza delle industrie farmaceutiche ma dai loro interessi; però non è tutto così semplice. In primo luogo, quando gli interessi del privato sono quelli di tutti, lo Stato dev’essere in grado di indirizzarlo verso la responsabilità sociale. E poi, non si dimentichi che l’iniziativa imprenditoriale che ci ha permesso di avere rapidamente i vaccini è stata sostenuta da investimenti pubblici che dovranno pur avere un peso nel momento in cui si negozia il prezzo del prodotto.

Non crede che in queste occasioni l’Europa si riveli debole?
Più ampiamente, esiste un problema di armonizzazione fiscale e di regole complessive che si riverbera sul governo del farmaco: bisogna impedire che da una situazione di bisogno di tutti derivino vantaggi esorbitanti per pochi.

Ci sono gli strumenti per evitarlo?
In emergenza valgono le regole d’emergenza. Il governo del farmaco chiama la politica a una forte assunzione di responsabilità e questa vicenda del rincaro conferma la necessità di dare una sola voce all’Europa.

Sinceramente, un ministro ha davvero la forza di negoziare con le multinazionali?
In ogni trattativa c’è un margine di negoziazione ma qui il margine della parte politica sembrerebbe assottigliato dal protrarsi della pandemia e dalla circostanza che alcuni vaccini hanno avuto meno successo di altri.

In altre parole, quando il gioco si fa duro vincono i duri?
Vince chi fa il proprio interesse, ma è una vittoria miope: l’industria farmaceutica ha un obiettivo problema di reputazione che in questo caso avrebbe consigliato di esercitare una maggiore generosità.

Questo episodio rilancia la necessità di sospendere i brevetti sui farmaci?
Sulla questione brevetti auspicherei una maggiore e più chiara posizione italiana: abbiamo tutta la storia civile e istituzionale per poter prendere parola su questo tema in Europa.

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