martedì 19 aprile 2022
In questo luogo di preghiera, fondato lì dove i tedeschi nel 1944 uccisero nove civili, è ospitata una famiglia fuggita alla violenza
L’interno del santuario di Strà

L’interno del santuario di Strà - Collaboratori

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Ogni mattina, alle 7 in punto, Yuri va ad aprire la porta del santuario di Strà e gira la pagina del lezionario sulle letture del giorno. Ai piedi dell’altare, i volontari della parrocchia della Valtidone, sulle colline piacentine, hanno collocato una bandiera della pace. A lato, accanto alla statua della Vergine, c’è quella gialloblù dell’Ucraina. Una preghiera invita ad affidarsi a Maria: «Le difficoltà non spengano il coraggio, né la tristezza la gioia del cuore».

Dal 3 marzo Yuri, la moglie Irina, i tre figli di 11, 7 e 4 anni, la suocera Valentina e l’inseparabile cagnolina Sonia vivono nella canonica del santuario intitolato a Maria Madre delle genti, che sorge sul luogo dove nove civili, il 30 luglio 1944, furono uccisi dai tedeschi. Fu il fondatore don Andrea Mutti a voler trasformare un luogo di violenza in luogo di preghiera. Nella cripta, i nomi delle vittime civili della Seconda guerra mondiale nel Piacentino sono incisi nel marmo, a perenne monito dell’orrore che qualsiasi conflitto produce.

Yuri ed Irina sono scappati da Odessa alle prime esplosioni al vecchio aeroporto militare poco distante dalla loro abitazione. Pensavano bastasse spostarsi più a ovest, per due, tre giorni al massimo. Ai bambini hanno detto che stavano partendo per una vacanza. Irina, laureata in mediazione linguistica e culturale a Milano, insegnava in un asilo e dava lezioni di italiano online. «Un mio compagno di studi, che abita in Valtidone, mi ha telefonato: voleva ospitarci, ma a casa sua tutti non ci saremmo stati».

Così è arrivata la proposta al rettore del santuario di Strà don Mario Dacrema, che l’ha accolta subito. La canonica fino al 20 dicembre ha ospitato tre sacerdoti congolesi ora in servizio in altre parrocchie della diocesi. «Ricordo bene quel mezzogiorno in cui il rettore mi ha chiamato – dice Luca Cassi, volontario della parrocchia –. All’inizio ero un po’ preoccupato: siamo una piccola comunità, ce la faremo? Invece la gente ha dato una risposta incredibile. Non appena don Mario ha dato l’annuncio del loro arrivo a Messa, in tanti si sono precipitati a portare vestiti, cibo... Anche chi, per la pandemia, sta passando un periodo di difficoltà familiare ha voluto dare il suo aiuto».

«È nata una bella amicizia, la loro presenza ci dà gioia – conferma don Dacrema –. L’accoglienza ci sta facendo crescere».

Yuri a Odessa era istruttore di nuoto; ora ha iniziato a lavorare in un’azienda della zona. Irina spera di trovare un impiego come mediatrice culturale, per affiancare nelle pratiche i suoi connazionali. «Voglio essere di aiuto: noi un’accoglienza così non ce la aspettavamo, non smetteremo mai di ringraziare – sottolinea –. Le preoccupazioni sono tante, a Odessa è rimasto mio fratello, la mamma di Yuri, tanti amici. Ma come famiglia ci sentiamo fortunati: almeno noi siamo tutti insieme».

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