«Non è con l'imposizione di divieti che si forma la personalità dei bimbi»
Dopo l'intervento del pedagogista Novara prosegue il dibattito sull'educazione. Parla il sociologo Padula

Caro direttore,
la lettura dell’interessante riflessione del pedagogista Novara pubblicata su Avvenire il 7 luglio scorso, si presta certamente all’apertura di un dibattito. Proverò a evidenziarne qualche aspetto che ritengo criticabile. Lo farò solo in piccolissima parte in base alle mie competenze scientifiche (la sociologia - come è noto - interviene parzialmente sulle devianze dei comportamenti individuali), prediligendo - in questa sede - il ruolo di padre di due figli che hanno un’età che rientra perfettamente nel presunto “range patologico” individuato da Novara: 3 e 9 anni. La prima evidenza critica riguarda lo scenario di riferimento piuttosto vago: Novara parla di «tanti mamma e papà che gli raccontano», evitando (probabilmente per questione di spazio) di fare riferimento a numeri, citare studi, articoli scientifici o altre tipologie di indagini a supporto.
la lettura dell’interessante riflessione del pedagogista Novara pubblicata su Avvenire il 7 luglio scorso, si presta certamente all’apertura di un dibattito. Proverò a evidenziarne qualche aspetto che ritengo criticabile. Lo farò solo in piccolissima parte in base alle mie competenze scientifiche (la sociologia - come è noto - interviene parzialmente sulle devianze dei comportamenti individuali), prediligendo - in questa sede - il ruolo di padre di due figli che hanno un’età che rientra perfettamente nel presunto “range patologico” individuato da Novara: 3 e 9 anni. La prima evidenza critica riguarda lo scenario di riferimento piuttosto vago: Novara parla di «tanti mamma e papà che gli raccontano», evitando (probabilmente per questione di spazio) di fare riferimento a numeri, citare studi, articoli scientifici o altre tipologie di indagini a supporto.
Questo approccio esperienziale, pur stimolante, rischia però di circoscrivere la questione a un perimetro esclusivamente personale riempito di negatività. Sarebbe interessante, invece, contrapporgli anche altri racconti (ancora meglio se sostenuti da dati) che esaltano una genitorialità matura, costruttiva e capace di costruire relazioni sane con i propri bambini. Inoltre, trovo riduttiva l’affermazione secondo cui il motivo per cui i figli picchino i genitori e non il contrario come - spiega il pedagogista - avveniva in passato (anche in questo caso sarebbe opportuno indagare sulla reale esistenza di generazioni di malmenati), sia «un’inequivocabile conseguenza di due anni e mezzo vissuti in una promiscuità casalinga forzata che ha portato a una confidenza fra grandi e piccoli davvero eccessiva, sempre più simbiotica e fusionale».
La stretta convivenza familiare (certamente aumentata in termini di tempo a causa dei vari lockdown) è una degli effetti della modernità ottonovecentesca. Essa riflette la riconfigurazione dei legami affettivi determinata da macrofenomeni storico-sociali come l’individualismo, l’industrializzazione e l’urbanizzazione. Risale a più di un secolo fa quando la famiglia patriarcale di matrice comunitaria lascia il posto a quella nucleare, ridotta nei numeri e più strutturata nei ruoli e nelle funzioni. Non è un caso che il luogo prescelto di questo tipizzazione familiare non siano più casolari di campagna o abitazioni con le corti, ma gli appartamenti nei quale la privacy può venire meno e può capitare di condividere il bagno (o altri spazi come il lettone dei genitori) senza subire dei traumi.
Ancora, l’idea «dell’accentuata disponibilità, del servilismo e della diminuzione dell’autorevolezza dei genitori», non è certamente una novità. Pur non essendo uno psicoterapeuta, potrei rimandare a molteplici paradigmi come quello della “famiglia affettiva” o dell’“helicopter parenting” (genitori elicottero), pubblicati decenni fa e che già sistematizzavano i cortocircuiti relazionali tra genitori e figli. Infine, concordo appieno con Novara sulla necessità di politiche educative (e non solo economiche) a sostegno di una familiarità certamente provata dalle emergenze, così come risulta opportuno il riferimento alla Montessori sulla necessità per i “quattrenni” di imparare a dormire da soli.
Ma, da papà imperfetto, mi permetto di pensare che eticizzare o moralizzare la famiglia con rigorismi, limiti imposti, divieti (come quello di un bacio in bocca tra una mamma e il suo bambino o un gioco in cui un papà prende sulle spalle il proprio figlioletto) può creare ulteriori storture. Perché scriveva proprio Maria Montessori ne “La formazione dell’uomo” (1949) - «si educa e si corregge solo dilatando, dando spazio, dando mezzi, per l’espansione della personalità».
Sociologo della comunicazione Pontificia Università Lateranense
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