Mario Paciolla è morto 5 anni fa, i suoi genitori non sanno ancora il perché

Il cooperante lavorava in Colombia, è stato trovato il 15 luglio 2020 con un nodo al collo e ferite ai polsi. Per le autorità è sucidio, ma non convincono. La madre: «L’Italia si muova con l’Onu»
July 13, 2025
Mario Paciolla è morto 5 anni fa, i suoi genitori non sanno ancora il perché
ANSA | Pino Paciolla e Anna Motta a un appuntamento nell’anniversario della nascita del loro figlio, Mario Paciolla
Una chioma scompigliata, due occhioni azzurri fissi verso l’orizzonte e una scritta: «Giustizia per Mario Paciolla». Di questi volantini e manifesti a Napoli se ne trovano sui muri, sui lampioni, nelle edicole, segno di una città che non ha dimenticato un figlio, un fratello, un amico. «Fin quando sarò in vita, farò di tutto perché non si dimentichi la sua memoria» afferma la madre. Sono passati cinque anni da quando ad Anna Motta e a suo marito Pino Paciolla è arrivata la chiamata dalla Colombia che ha stravolto le loro vite. Loro figlio Mario aveva trentatrè anni, lavorava come cooperante delle Nazioni Unite e il 15 luglio 2020 è stato trovato morto, con tagli ai polsi e un nodo stretto al collo, nel suo appartamento a San Vicente del Caguán. «Per noi non è mai stato un suicidio» dice la mamma. «Mario stava per tornare, aveva già deciso. Proprio quella mattina sarebbe dovuto partire verso Bogotà, aveva già avvisato il proprietario di casa e comprato il biglietto aereo». Cinque giorni prima, il 9 luglio 2020, Mario disse ai genitori di aver avuto una discussione durante una riunione con i colleghi dell’Onu. Evocò un episodio risalente alle scuole superiori: «Si era scontrato con la professoressa di italiano e, per questo, era stato bocciato. Ci disse che si trovava nella stessa situazione, che sicuramente gliel’avrebbero fatta pagare come all’epoca. Non potevamo immaginare che questa volta in gioco non ci fosse un anno di scuola, ma la vita». Anna ricorda di aver chiesto al figlio se pensasse di essere in pericolo, la risposta fu: «Non penso». Da quel momento però Paciolla decise di abbandonare immediatamente la Colombia, anche a costo di lasciare la missione incompiuta. La sera prima della morte scrisse ai genitori: «Aveva paura, era nervoso, stava avendo dei problemi ad acquistare il biglietto aereo». Poi l’ultimo messaggio: «Ho risolto».
Gli investigatori colombiani si sono subito orientati verso l’ipotesi del suicidio, ma ci sono elementi incongruenti. La casa di Mario è stata ripulita con candeggina da funzionari dell’Onu prima dell’arrivo delle autorità locali. Mancano le impronte sui coltelli con cui si sarebbe tagliato. L’autopsia disposta in Italia ha evidenziato l’incompatibilità tra le ferite al collo e la morte per suicidio. Sono spariti i quaderni su cui il cooperante prendeva appunti di lavoro. In Colombia, Paciolla monitorava il reinserimento nella società degli ex combattenti delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia nell’ambito della transizione post-bellica. «Ci parlava pochissimo del suo lavoro – specifica Anna – Quando è stato trasferito a San Vicente, stava spesso da solo, preferiva non farsi notare ed evitare amicizie che avrebbero potuto influenzarlo nel lavoro. Era molto preciso e attento». Anna ricorda che al suo rientro a Natale Mario le chiese di preparare sottovuoto dei pezzetti di parmigiano stagionato da far assaggiare ai colleghi. «E poi si portava sempre due pastiere: una la mangiava con i suoi amici delle Brigate Internazionali di Pace, la prima organizzazione con cui è andato in Colombia. L’altra la regalava alla signora delle pulizie dell’appartamento in cui stava a Bogotà. Mario era così».
Dalle istituzioni, dopo immediate dichiarazioni di sostegno e vicinanza, non sono arrivate altre novità. Anna ribadisce che «ci sono tante persone che ci sono vicine e sostengono, anche da parte della politica. Sono state fatte numerosissime interrogazioni parlamentari, però purtroppo le risposte non ci sono mai». Sulla vicenda giudiziaria l’ultimo aggiornamento risale a lunedì 30 giugno: l’indagine della procura di Roma è stata archiviata dal giudice. Ma i genitori di Mario non lo accettano: «È assurdo che lo Stato italiano non chieda spiegazioni alle Nazioni Unite. E non solo nel caso di Mario, ma neanche in occasione dell’uccisione dell’ambasciatore Luca Attanasio in Congo. Anche in quel caso, ed era un rappresentante della Repubblica, non sono state fatte domande. Siamo basiti di fronte a un’Italia che non prende una posizione in questo senso». Anna Motta e Pino Paciolla non si accontenteranno mai delle risposte parziali, ambigue, inverosimili che vengono proposte come verità. «Questo è il dolore peggiore della nostra vita. Avremmo diritto di sapere che cosa è successo?». Intanto questi cinque anni sono passati senza giustizia. A Napoli la chiedono anche i muri, tappezzati da quel volto, scompigliato dal vento, che non si può dimenticare.

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