ll fermo, il ricorso: la storia della nave Trotamar, che tornerà a soccorrere
Bloccata dal decreto Piantedosi, per i giudici di Agrigento la barca a vela «è stata fermata illegittimamente». Il comandante: abbiamo il diritto internazionale e umano dalla nostra parte

La barca a vela Trotamar III, impiegata dalla Ong tedesca CompassCollective per il soccorso di persone migranti nel Mediterraneo, «è stata fermata illegittimamente» dalle autorità italiane per oltre due settimane. A stabilirlo è il tribunale di Agrigento che, rispondendo d’urgenza al ricorso dell’equipaggio, ha chiesto mercoledì scorso la revoca immediata del fermo amministrativo imposto dal 25 agosto al veliero, costretto a restare ancorato nei porti di Lampedusa e di Licata (Agrigento) per una presunta inosservanza del “decreto Piantedosi”. Al momento la Trotamar III è ancora ferma in acque italiane, ma il comandante Matthias Wiedenlübbert assicura che presto salperà verso le zone Sar (Search and Rescue, di ricerca e soccorso) tra Lampedusa, Libia e Tunisia.
«Ripartiremo la settimana prossima – spiega ad Avvenire – e ci comporteremo come abbiamo sempre fatto: non avvertiremo le autorità libiche dei salvataggi in mare, perché riportano indietro i profughi con la forza e minacciano di aprire il fuoco contro di noi».
La nave di CompassCollective, lo scorso 23 agosto, ha dovuto interrompere una operazione di salvataggio in mare proprio a seguito di un “incontro” con una motovedetta libica, che via radio aveva intimidito l’equipaggio annunciando spari: “Fire!” (“Fuoco!”), il messaggio rivolto al veliero. Il giorno seguente, dopo un cambio di rotta, la Trotamar III ha salvato dall’annegamento 22 persone che si trovavano a bordo di un’imbarcazione in vetroresina in difficoltà, al largo delle coste libiche. Le ha trasferite in Italia ma, appena terminata la discesa a terra, è arrivata all’equipaggio la comunicazione del fermo amministrativo da parte dell’autorità italiana. L’accusa era quella di aver portato a termine l’operazione di salvataggio senza avvertire le autorità competenti, ovvero quelle libiche. Ma i giudici di Agrigento hanno contestato che l’equipaggio della Trotamar III dovesse far riferimento a guardie costiere diverse da quella italiana.
La nave di CompassCollective, lo scorso 23 agosto, ha dovuto interrompere una operazione di salvataggio in mare proprio a seguito di un “incontro” con una motovedetta libica, che via radio aveva intimidito l’equipaggio annunciando spari: “Fire!” (“Fuoco!”), il messaggio rivolto al veliero. Il giorno seguente, dopo un cambio di rotta, la Trotamar III ha salvato dall’annegamento 22 persone che si trovavano a bordo di un’imbarcazione in vetroresina in difficoltà, al largo delle coste libiche. Le ha trasferite in Italia ma, appena terminata la discesa a terra, è arrivata all’equipaggio la comunicazione del fermo amministrativo da parte dell’autorità italiana. L’accusa era quella di aver portato a termine l’operazione di salvataggio senza avvertire le autorità competenti, ovvero quelle libiche. Ma i giudici di Agrigento hanno contestato che l’equipaggio della Trotamar III dovesse far riferimento a guardie costiere diverse da quella italiana.
Il fermo amministrativo, spiegano i magistrati, sarebbe stato ammissibile solo se il comandante Wiedenlübbert avesse ignorato le istruzioni dell’autorità Sar italiana, che non ha dato comando di comunicare direttamente con le autorità libiche. Perciò, tenendo anche conto «della stagione speciale, l’estate, che vede un aumento dei flussi migratori nel Mediterraneo», il tribunale di Agrigento ha ritenuto corrette le operazioni di salvataggio della Trotamar III e ha chiesto la sospensione del fermo. Ora il procedimento proseguirà fino a una decisione definitiva ma, intanto, CompassCollective si dice soddisfatta della rapidità con cui i giudici hanno accolto il ricorso: «Ancora una volta – commenta la portavoce della Ong, Katja Tempel –, i tribunali italiani hanno dimostrato coraggio ribaltando atti amministrativi eccessivi. Naturalmente, continueremo a non coinvolgere la cosiddetta Guardia Costiera libica nei salvataggi. La nostra umanità ce lo impedisce».
Alla referente, fa eco il comandante Matthias Wiedenlübbert, che teme un nuovo fermo italiano alle prossime operazioni: «È possibile che ci troveremo di nuovo bloccati in porto – commenta – ma abbiamo il diritto internazionale e i diritti umani dalla nostra parte. Lo hanno stabilito i giudici». A preoccupare l’equipaggio, però, è anche un nuovo incontro con le autorità libiche: «Noi non abbiamo armi, siamo una nave piccola e lenta – conclude il comandante –. Questo significa che non possiamo fare manovre rapide per sfuggire alle motovedette armate, che speriamo di non incontrare più. Il rischio è ancora alto, ma senza rischio non ci sono neppure i salvataggi».
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