La Garante: «I detenuti privati della dignità. Ma si potrebbe agire subito»
L'avvocato Irma Conti, componente del collegio che vigila sui diritti delle persone recluse, segnala situazioni critiche in molte carceri e auspica pene alternative per almeno 19mila detenuti

«Il presidente della Repubblica ha pienamente ragione quando afferma che la situazione nelle carceri è insostenibile. E non da oggi: è una condizione strutturalmente critica, in cui alla privazione della libertà personale si somma quella della dignità umana. Non è questione di gestione amministrativa, ma di tenuta dei diritti fondamentali». Dal gennaio 2024, Irma Conti è una dei tre componenti del collegio del Garante nazionale per i detenuti (gli altri sono Riccardo Turrini, presidente, e Mario Serio). Avvocato penalista dal piglio energico, da quando è in carica ha «percorso 85mila chilometri ed effettuato 85 visite in penitenziari, le prime 58 insieme al compianto Maurizio D’Ettore, che ci ha lasciati l’anno scorso», ricorda mentre analizza i problemi dell’umanità sofferente che vive dietro le sbarre.
Un universo su cui grava ora pure una soffocante calura. A parte ventilatori e frigoriferi, l’associazione Antigone denuncia carenza d’acqua e servizi igienici. Cosa si sta facendo in questi casi?
Sono situazioni che vanno affrontate una per una appena si presentano. Un anno fa, quando il capo dello Stato menzionò la vicenda di un detenuto di Brescia, andai subito a Canton Mombello: c’era una tubatura di bocce di plastica. Quel caso fu risolto. Occorre dinamismo: non possiamo stare immobili, appena s’intravede un problema, bisogna affrontarlo in collaborazione con la direzione del carcere, col ministero di Giustizia e le altre strutture interessate.
Capisco. Ma non la inquieta il fatto che la somma delle singole situazioni dia un contesto generale di 62mila detenuti a fronte di 47mila posti reali?
Il nostro approccio parte dalla conoscenza dettagliata di dati e urgenze. Per troppo tempo, nelle carceri si è tentato di nascondere problemi sociali, psichiatrici o di marginalità.
In quali istituti ha riscontrato maggiori criticità?
Sollicciano a Firenze, Poggioreale a Napoli e Marassi a Genova, Agrigento, il romano Regina Coeli o Foggia, teatro di recenti proteste. E ancora Torino e San Vittore a Milano, dove si registra un numero di detenuti con disagio psichico non tutti assistiti per carenze di personale.
Già perché oltre agli agenti, mancano psicologi ed educatori. Eppure il disagio in prigione continua a mietere vittime.
Da gennaio a oggi, 37 suicidi. Nello stesso periodo del 2024, 50 (83 a fine anno, ndr), nel 2023 e nel 2022 34, nel 2021 27. Un trend costante, secondo il nostro osservatorio, fra gesti estremi e atti di autolesionismo, ma finora gli esperti non hanno ravvisato un nesso diretto fra sovraffollamento e suicidi. Un’altra emergenza riguarda le cure sanitarie: trovammo una detenuta che attendeva da tre anni una visita ginecologica, ci attivammo e la fece. Da quel caso siamo partiti per elaborare un programma di medicina penitenziaria che già sta trovando prime applicazioni a Biella, Ancona e Taranto.
A 12 anni dalla sentenza Torreggiani, si torna a celle da 4 posti con 8 occupanti. Cosa pensa della proposta di legge Giachetti sulla liberazione speciale anticipata?
Sono soluzioni su cui deve ragionare la politica, non tocca a me commentare. In attesa che il piano del commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria dia frutti, si potrebbe spingere sulle misure alternative alla detenzione come i domiciliari, qualora ricorrano i presupposti, per chi ha pene da scontare sotto i 4 anni.
Quanti reclusi potrebbero fruirne?
Va calcolato. Quelli con pene residue sotto i tre anni sono 19mila. Il nodo è che i tempi per il vaglio delle domande superano l’anno, perché sono molte e i magistrati di sorveglianza pochi. Per sveltirli, stiamo elaborando un programma, con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, che proporremo al ministero della Giustizia.
E i reclusi con dipendenza da droghe? Anche quelli sono migliaia.
Già, oltre 8.100. Se fossero affidati in custodia alle comunità di recupero, già il tasso di sovraffollamento calerebbe di molto. E l’altra scommessa è il lavoro, decisivo per il reinserimento nella società e l’abbattimento della recidiva. A Rebibbia, il 24 dicembre, un detenuto mi ha detto: è la prima volta che esco e sono sicuro di non rientrare, perché farò il fornaio. Era uno dei 12 assunti da un forno dopo aver appreso il mestiere in carcere. Ci sono persone che non hanno colto l’opportunità di lavorare, hanno rotto il patto sociale. Quello strappo, vogliamo ricucirlo insieme a loro? Questa è la sfida per cambiare il carcere. Ma per portarla avanti, bisogna avere coraggio, equilibrio e passione.
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