«Io, volontario in carcere dopo il lutto». La sfida di Setti Carraro

Il fratello di Emanuela, moglie del generale Dalla Chiesa uccisa dalla mafia nel 1982, si impegna a redimere gli ergastolani: così ha superato le logiche dell'odio contro gli autori di quella stra
February 9, 2024
«Io, volontario in carcere dopo il lutto». La sfida di Setti Carraro
Ma un carcerato che se si è macchiato di orrendi delitti, può davvero “guarire”? Può comprendere il male fatto a se stesso e agli altri e diventare un’altra persona, capace di provare “il piacere della responsabilità”? «Non è un’utopia, cambiare è possibile, per i mafiosi, come lo è stato per me». A dirlo è Paolo Setti Carraro che dopo la morte della sorella Emanuela nella strage di via Carini a Palermo, il 3 settembre del 1982 – l’agguato dove vennero uccisi il marito, generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, all'epoca prefetto del capoluogo regionale, e l’agente di scorta Domenico Russo – ha intrapreso un faticoso cammino personale di redenzione dalla rabbia, dal rancore e dal senso di vendetta nei confronti degli assassini della sorella. Chirurgo per 48 anni, prima al Policlinico di Milano e poi all’estero, per tredici anni nelle zone di guerra, Setti Carraro dal 2016 fa il volontario nelle carceri di media e massima sicurezza, incontra tutte le settimane i detenuti attorno a un tavolo, insieme agli amici del “Gruppo della trasgressione”. È impegnato a Opera e nelle Case circondariali di Milano San Vittore e di Parma, nel recupero umano e sociale di chi vorrebbe uscire dalle gabbie della propria coscienza, prima ancora che dal carcere.
Si può dire che dal ricucire i corpi lei è passato a ricucire le anime e le coscienze. Che cosa l’ha spinto a farlo?
La mia è una sfida alla morte, come quando curavo i malati di tumore che, allora, erano ritenuti inguaribili...
Lei aiuta anche ergastolani che hanno storie criminali come quelle degli assassini di sua sorella: significa che li ha perdonati?
Se il perdono mi venisse chiesto lo accoglierei volentieri. Li incontrerei però da solo, in un ambiente privato, come esseri umani e sullo stesso piano, senza gradini tra noi, in condizioni di parità. Il criminale che si pente davvero ha un valore enorme, è come se avesse rimosso un macigno dalla sua coscienza. E dalla nostra. Ma è sempre un processo lungo e doloroso. Poche volte è stato possibile ma si è trattato sempre di esperienze bellissime. È un’occasione di crescita per tutti, anche per noi.
In cosa consiste, secondo la sua esperienza, il vero pentimento di un criminale?
Nell’avere consapevolezza e responsabilità del danno causato alle persone “offese” e alle loro famiglie, a sè e alla società intera. E non deve essere un alibi, un modo per ottenere uno sconto di pena. Stando con i detenuti comunque ho imparato che si ha sempre a che fare con la povertà, non solo economica. È come se facessi opera di maieutica: aiuto, insieme ad altri, a far venire fuori ciò che di buono esiste nell’animo umano. Contribuiamo a recuperare la dignità in quelle persone che qualcuno vorrebbe invece chiuse per sempre in cella, con la chiave buttata via...
Ma, in concreto, come è possibile questo?
Anche gli ergastolani, i criminali più incalliti, quando si accorgono di essere guardati in modo umano, capiscono di valere molto d più delle loro originarie limitazioni. Così cominciano a svegliarsi le loro coscienze spente, addormentate. E noi ci implichiamo sempre con chi decide di intraprendere un percorso di questo tipo. Magari perché ha visto i risultati su un suo compagno di detenzione...
Paolo Setti Carraro è stato chirurgo per 48 anni, in Italia e in zone di guerra - Imagoeconomica
Paolo Setti Carraro è stato chirurgo per 48 anni, in Italia e in zone di guerra - Imagoeconomica
Un altro “salto” difficile, per chi vuole liberarsi dal macigno che pesa sulla sua coscienza, è quello di non apparire un traditore di fronte agli altri.
Si tratta di tradire la propria carne, qualcosa di simile a quello che è accaduto a me. Ma è un passaggio necessario per il vero cambiamento di sè. Non stiamo parlando però di “pentitismo” ma di concrete evoluzioni del pensiero e del comportamento, che pure non vengono accettate dal sistema criminale dal quale si proviene.
Quante persone sono riuscite a redimersi con questa “terapia umana”?
Ho visto ergastolani uscire dal carcere dopo 15 anni con un orizzonte mutato. Si tratta di dare loro quei riferimenti che hanno perso o non hanno più accettato. Questo significa curare l’anima. Riconoscere, e non dimenticare più, dignità e dolore. Come è stato per me. È questione di tempo.
Aumentano suicidi, aggressioni e rivolte: com’è la condizione dei detenuti nelle carceri italiane?
Si toglie loro, oltre che la libertà personale, l’affettività e la possibilità di esercitare una genitorialità responsabile. Ma dietro le sbarre si dovrebbe stare come... in un albergo a tre stelle. So che questa è una provocazione ma voglio dire che non si dovrebbero aggiungere altri dolori alla sofferenza dello stare dentro perché si deve scontare una pena.
Sulla strage di via Carini, a distanza di 41 anni, restano ancora molti lati oscuri, è vero?
Zone d’ombra esistono anche sulle stragi degli anni ‘60, ci sono stati depistaggi e coperture, come nel caso di Messina Denaro. C’è sempre una parte della società che trama contro la verità per non farla emergere.

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