Il caso Urso e i privilegi della casta che ci scandalizzano, ma solo sui social
La denuncia dell'attore Luca Zingaretti da Fiumicino sulla moglie del ministro, che ha saltato la coda con la scorta, ha sollevato un polverone politico. Le reazioni? Più rassegnate che mai

Ci risiamo. Non è per la prima volta. Né per il governo in carica né per i precedenti governi della Seconda e della Prima Repubblica. Un ministro che si mette in luce non per una misura che cambia il Paese ma per l’esercizio di un “privilegio”, da un lato legittimamente fastidioso per i cittadini dall’altro comprensibile, se vista lato-sicurezza.
Sta di fatto che il titolare delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, deve in queste ore giustificarsi per il “saltafila” di cui moglie e prole in partenza per le vacanze hanno goduto all’aeroporto di Fiumicino, con l’aiuto della scorta. Il tutto visto e denunciato con un videoselfie dall’attore Luca Zingaretti, il popolare commissario Montalbano, fratello di Nicola, europarlamentare del Pd ed ex governatore del Lazio.
Zingaretti ha “sfondato” sui social e sul web, mentre la tiepida spiegazione di Urso ha fatto i conti con la realtà di un Paese esasperato da ben altri problemi e al contempo rassegnato a una politica percepita non distante, ma sideralmente lontana dalle questioni di ogni giorno. E come non vedere nelle parole di “Montalbano” anche una sottile vendetta per gli attacchi continui che l’esecutivo sta muovendo contro la “cultura di sinistra”.
Pochi mesi fa, il collega di governo e di partito di Urso, l’ex cognato di Giorgia Meloni, Francesco Lollobrigida, aveva catturato gli strali dell’opinione pubblica per la determinazione con cui fece fermare, in una stazione non prevista dal percorso programmato, un treno in enorme ritardo. “Impegni istituzionali” che certo non potevano vantare pendolari, turisti e gli altri utenti-pagatori a bordo.
Certamente nelle prossime ore e giorni ambienti parlamentari e mediatici vicini al governo avranno gioco facile nel trovare e denunciare analoghi comportamenti di ex ministri, parlamentari e politici di centrosinistra, e anche di ex esponenti M5s che dopo la florida stagione populistica si sono fatti conquistare da quella parolina magica, “sono un parlamentare”, che ancora oggi apre varchi insospettabili (legittimamente o meno, questo è giudizio dei lettori).
Ma c’è un dato che emerge: se qualche anno fa la narrazione dei “privilegi” poteva muovere voti reali contabilizzati nelle urne, nella stagione dell’astensionismo muove solo qualche offesa sui social network. Segno di una stanchezza evidente dei cittadini, più che di una maturità rispetto alle prerogative (talvolta incomprensibili e “odiose”) della politica. Come a dire: “Fate quello che volete, sappiamo chi siete, sappiamo come siete, non c’importa più nulla”. Esemplare anche la (dis)attenzione con cui viene seguita in questi giorni la nuova puntata della telenovela-vitalizi: negli anni del populismo come programma di governo ci sarebbero stati i cortei davanti Montecitorio, oggi ci concediamo il sorriso sornione di chi ormai si si fida solo di se stesso e ha digerito "come va il mondo".
Il clima generale di rassegnazione rischia però di far considerare meno gravi fatti che gravi lo sono per davvero. Più degli aeroporti, più dei treni, persino più dei vitalizi. I continui rinvii di processi a carico di politici per presunti reati fiscali. Il riferimento ultimo è ai procedimenti a carico della ministra del Turismo Daniela Santanché. Proroga dopo proroga, si rischia ormai seriamente di non venire a sapere se ha truffato l’Inps, se ha utilizzato impropriamente i fondi Covid e se le società che ha avuto tra le mani hanno barato sui bilanci. Siamo liberi di scegliere se appassionarci o meno alle mogli in aeroporto, ma non possiamo non avvertire il dovere di chiedere la verità processuale sulle condotte di persone che hanno responsabilità pubbliche.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






