I sindacati dell'alimentare insieme per mandare cibo a Gaza
Presentata "Pane per Gaza" insieme a Emergency e Save the Children. Raccolta fondi nel settore per aiutare la popolazione colpita. Rota (Fai Cisl): "Lanciamo un messaggio di solidar

Si chiama “Pane per Gaza”. È il progetto lanciato da Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil, che invitano le lavoratrici e i lavoratori di tutto il settore agroalimentare e agricolo a donare il valore economico corrispondente a un’ora del proprio lavoro. Un appello rivolto anche alle aziende, esortate a contribuire nella stessa misura. L’obiettivo è destinare risorse economiche per l’acquisto di generi alimentari e per sostenere i progetti in loco del Patriarcato latino di Gerusalemme e delle associazioni Emergency e Save the Children.
Questo il cuore dell’iniziativa che è stata presentata oggi, 17 settembre, a Roma, presso il centro Europa Experience, alla presenza, tra gli altri, dei tre segretari generali, Onofrio Rota, Giovanni Mininni, ed Enrica Mammucari. Nei prossimi giorni le tre organizzazioni sindacali del settore agroalimentare comunicheranno l’iban previsto per la donazione. Nel frattempo, per dare ufficialmente il via al progetto, hanno annunciato che ogni sigla verserà la cifra di 10mila euro.
«Un piccolo segno di responsabilità e solidarietà – hanno sottolineato i promotori -, per non abbassare l’attenzione su quanto si sta consumando sotto gli occhi di tutti e nell’inerzia delle istituzioni». La brutalità dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 «non è più una giustificazione sostenibile», hanno aggiunto condannando l’aggressione israeliana e richiamando i risultati del rapporto della Commissione d’inchiesta indipendente dell’Onu che ha parlato di «genocidio».
“Pane per Gaza”, ha spiegato Rota, segretario generale di Fai Cisl, rappresenta «un messaggio di solidarietà e speranza che vogliamo esprimere come mondo dell'agroalimentare». Prossimamente, ha aggiunto, «partirà anche una campagna di informazione nei luoghi di lavoro, per mettere al corrente le persone su quanto sta accadendo nella Striscia». Da qui anche il suo appello al governo, all’Europa e alle Istituzioni internazionali, «perché possano porre fine immediatamente a questo genocidio che sta vivendo il popolo palestinese».
Anche per il segretario generale della Flai Cgil, «non è più giustificabile» ciò che sta accadendo nella striscia di Gaza. Da Mininni è arrivata una netta condanna a Israele, che «invade territori assegnati ai palestinesi», usa «la carestia e la fame come arma di guerra» e «prende di mira con i cecchini le persone che provano a racimolare un po’ di cibo». Come organizzazioni sindacali dell'agroalimentare, ha aggiunto, «abbiamo deciso quindi di schierarci e di porre fine al silenzio, perché nel nostro patrimonio genetico abbiamo l'umanità e la solidarietà come valori fondanti».
A loro si è allineata Mammucari. «Vogliamo unire i lavoratori e le lavoratrici dell'agroindustria su un tema che ha rilevanza sulla responsabilità etica, sulla responsabilità morale, sulla responsabilità legale e sulla responsabilità umana che ha ciascuno di noi», ha detto spiegando che il progetto è stato pensato anche «per rieducare le coscienze». Perché quello che sta accadendo «è la violazione dei principi fondanti dell'esistenza dell'umanità».
Una denuncia corale a cui si sono aggiunti anche Alessandro Manno, coordinatore del Progetto per Gaza di Emergency e Giancarla Pancione, Direttrice Marketing e Fundraising di Save the Children.
Entrambi hanno raccontato più nel dettaglio la situazione nella Striscia. «In nove mesi – ha detto Manno – abbiamo ricevuto più di 15mila pazienti. Ogni giorno facciamo una media di 250 consultazioni, quasi la metà a minori. Abbiamo anche tantissime donne in gravidanza o con neonati». Poi un passaggio anche sulla carestia in atto. «Non c’è praticamente più nessuno a Gaza che non abbia qualche forma di malnutrizione». Su questo tema si è soffermata anche Pancione. «Attualmente – ha sottolineato - ci sono 132mila bambini sotto i cinque anni che potrebbero soffrire di malnutrizione grave. Più di 20mila invece sono morti. E 40mila sono rimasti feriti, la metà con danni permanenti». Molti di loro, «quando arrivano nei nostri centri ci raccontano di voler morire per seguire la propria mamma in paradiso e per non sentire più i morsi della fame». Poi ha concluso: «Quello che vedono i nostri colleghi è quanto ha stabilito la Commissione d’inchiesta dell’Onu: un genocidio».
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