I piccoli gesti che rallentano l’Alzheimer e aiutano le famiglie
di Redazione
Katia Pinto, presidente della Federazione italiana che riunisce 45 associazioni: cresce l’attenzione nei territori ma restano profonde differenze su sostegni e opportunità

Per chi convive con l’Alzheimer, la solitudine è spesso il primo muro invisibile. La malattia restringe il mondo: luoghi familiari diventano estranei, i gesti quotidiani si complicano, le persone attorno si fanno più rare. Ma la solitudine non riguarda solo i malati: «Accanto a ogni persona con demenza c’è sempre qualcuno che si prende cura di lei», spiega Katia Pinto, presidente della Federazione Alzheimer Italia. Si tratta per lo più di donne – figlie, mogli, madri – spesso schiacciate tra l’assistenza e gli impegni personali. «Man mano che la malattia avanza le amicizie si allontanano e il caregiver rimane da solo ad affrontare la situazione», racconta Pinto. Dietro i numeri – 1,48 milioni di persone con demenza in Italia, destinati quasi a raddoppiare entro il 2050, e circa 4 milioni di caregiver – ci sono storie di isolamento che attraversano il Paese. Per contrastare questo doppio vuoto, la Federazione, nata nel 1993, ha costruito una rete diffusa: riunisce 45 associazioni locali, ha attivato oltre 60 “Comunità Amiche delle Persone con Demenza” e un numero verde (Pronto Alzheimer). «Abbiamo formato farmacisti, medici, scuole, parrocchie, vigili urbani, perfino i musei e le poste», spiega Pinto. Nei supermercati “amici” i cassieri imparano a gestire con discrezione un pagamento quando un cliente dimentica il codice del bancomat. Gli autisti dei bus apprendono come aiutare chi si è perso a ritrovare la strada. «Sono piccoli gesti – dice Pinto – che danno dignità alla persona e rassicurano i familiari, riducendo la paura e il giudizio degli altri». Recentemente si è anche avviato un percorso per rendere l’Ospedale Civile di Baggiovara (Modena) il primo ospedale “Amico delle Persone con Demenza”. Può capitare che il personale sanitario, nonostante sia altamente formato, non adotti le giuste accortezze: «Bisogna sapere, ad esempio, che se le medicine vengono lasciate sul comodino un paziente di questo tipo potrebbe non ricordarsi di prenderle».
Eppure l’Italia resta “a macchia di leopardo”. In alcune Regioni, il Piano Nazionale Demenze del 2014, rifinanziato nel 2020, ha portato a reti integrate di CDCD (Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze), centri diurni, caffè Alzheimer, meeting center e infopoint, ricoveri di sollievo. In altre, si procede a compartimenti stagni: «Dopo la diagnosi il paziente e la famiglia non vengono informati e indirizzati verso tutti i servizi a disposizione. Ci si sente abbandonati alla visita successiva che viene programmata sei mesi dopo». Anche i sostegni economici sono disomogenei: alcune amministrazioni prevedono sussidi per i caregiver, altre nulla. Tra i tanti interventi che possono essere messi in campo, uno riguarda la prevenzione. In occasione del Mese Mondiale Alzheimer, la Federazione ha diffuso un decalogo di dieci regole elaborato da Simone Salemme, neurologo e consulente dell’Istituto Superiore di Sanità, e da Davide Mangani, ricercatore immunologo dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona. Indicazioni concrete con una doppia prospettiva: «Il decalogo unisce responsabilità individuali e responsabilità collettive. È un invito a ciascuno di noi, ma anche alla politica e a tutta la comunità, ad agire per costruire un futuro con un minore impatto della demenza», spiega Mangani. Dal controllo della pressione alla protezione della vista e dell’udito, dall’attività fisica all’alimentazione: «Oggi sappiamo che fino al 40% dei casi di demenza potrebbe essere evitato o ritardato intervenendo sui fattori di rischio modificabili», sottolinea Salemme. Uno dei punti riguarda la socialità: mantenere la mente attiva, coltivare hobby, chiedere aiuto in caso di depressione. «Più si sta da soli, più il cervello lavora meno e più si è a rischio», ricorda Pinto. Per rendere visibile ciò che resta nascosto, la Federazione organizza caffè Alzheimer – incontri informali dove malati e familiari condividono esperienze davanti a un caffè – e meeting center con specialisti. Ha creato infopoint, webinar gratuiti e persino “parchi della memoria”, spazi pubblici dove percorsi cognitivi e motori stimolano corpo e mente e invitano le città a parlare della malattia. «Vincere lo stigma è difficile», ammette Pinto, «quando facciamo serate informative spesso vengono solo persone già toccate dal problema. Gli altri pensano che non li riguardi, finché non succede».
Il 21 settembre, Giornata Mondiale Alzheimer, e il congresso europeo di Bologna (6-8 ottobre) sono momenti per ribadire che la demenza non cancella la persona. «Si tratta di una malattia che procede gradualmente e in quegli anni la vita continua», sottolinea Pinto. «Non sono cittadini di serie B: hanno diritto a relazioni, stimoli, normalità. E chi se ne prende cura ha diritto a non essere lasciato solo». “La forza di non essere soli” – slogan della Federazione – diventa così un impegno collettivo: costruire comunità consapevoli, reti stabili e politiche più giuste, perché dietro ogni diagnosi non ci sia un vuoto ma una società intera. Che si tratti di aiutare a fare la spesa o ritrovare la via di casa.
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