I corridoi umanitari e l’istruzione: così si conquistala vera emancipazione

L’osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica, ha studiato i casi di 20 donne - le più fragili in cammino assieme ai minori - raccontandone storie, drammi e i cambiamenti
September 29, 2025
I corridoi umanitari e l’istruzione: così si conquistala vera emancipazione
Indietro non si torna, ma arrivare in Italia è stato un passo decisivo. Le donne dei corridoi umanitari lo sanno. Come Sumaya, profuga siriana, arrivata nel 2017, ancora bambina, dalla Giordania con la famiglia. La mamma era malata oncologica, le servivano cure urgenti e le ha trovate all’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza a San Giovanni Rotondo (Foggia). Quando è purtroppo mancata, Sumaya, che nel frattempo ha potuto studiare e imparare l’italiano, si era comunque integrata nel nostro Paese. Helen, 35 anni, eritrea, è stata rapita da bambina dai predoni beduini del Sinai e in Egitto ha subìto e visto violenze indicibili che l’hanno segnata per sempre. Salvata dall’Ong Gandhi di Alganesh Fessaha che l’ha portata in Etiopia, nel 2018 è arrivata in Italia e ha potuto ricominciare.
Come loro, 10 mila persone vulnerabili sono arrivate in 10 anni attraverso i corridoi umanitari, vie legali e sicure per donne, uomini, bambini spesso bisognosi di cure, spiaggiati nei campi profughi. Una eccellenza italiana ideata e attuata da Sant’Egidio, Cei e Fcei, le comunità evangeliche, quindi con una collaborazione ecumenica tra cattolici e protestanti, con accordi con il governo e l’Unhcr e il coinvolgimento della società civile (Caritas italiana, Migrantes e l’Arci) che consentono di rilasciare un numero limitato di visti. Uno studio dell’osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica, “Libere da, libere di?”, curato dai due docenti Cristina Pasqualini e Fabio Introini ha preso in esame un campione piccolo e significativo di 20 donne - le più fragili in cammino insieme ai minori - raccontandone storie, drammi e i cambiamenti portati dall’arrivo e dall’inserimento in Italia.
Diversi i protocolli firmati e attuati nel decennio, da quello iniziale per i siriani in Libano a quello africano da Etiopia e Niger, poi ampliato alle evacuazioni umanitarie dei detenuti e dei rifugiati urbani dalla Libia. Infine, l’estensione ai profughi afghani. Un modello replicabile in Europa, ma finora ai corridoi umanitari hanno aderito Francia e Belgio e i micro Stati di San Marino e Andorra. La ricerca è durata da aprile 2022 ad aprile 2024
«La nostra idea – spiega Cristina Pasqualini – è stata studiare donne vulnerabili cui fosse stata offerta un'opportunità di emancipazione. Per raggiungerle è stato necessario costruire un tavolo di collaborazione con tutti i soggetti promotori dei corridoi, vale a dire Caritas italiana, Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche italiane, la tavola Valdese, Arci, diverse Caritas diocesane e l'Associazione Papa Giovanni».
Le donne intervistate in maggioranza sono state prese in carico da Caritas italiana, e sono di diverse nazionalità e provenienti da diversi Paesi di transito. «Alcune arrivate con i genitori – chiarisce la docente –, altre da sole e con i figli. Tutte con una convinzione comune, indietro non si torna, perché non vogliono perdere gli sforzi fatti per cominciare a vivere». L'istruzione resta determinante per l’integrazione: «È un'arma potentissima, fa paura a tutti i regimi totalitari, quindi appena possibile è bloccata alle donne. Anche nel campo profughi, quando nascono i figli, si interrompe l'università, mentre quando arrivano i fratellini più piccoli si interrompe la scuola superiore per aiutare la mamma. Le donne ascoltate hanno il grande desiderio di studiare e hanno capito che l’emancipazione passa anche da lì. Tutto sommato hanno trovato risposte ai loro bisogni e hanno acquisito almeno in parte un titolo di studio. Si percepiscono libere, liberate da un passato che le incatenava». Due i limiti riscontrati nell’accoglienza: «Il modello adottato – aggiunge Fabio Introini – viene definito come accoglienza diffusa, meno emergenzialista. Non sempre le piccole comunità sono quelle più capaci di accogliere. Solo se queste presenze riescono ad essere valorizzate, allora l'esperienza riesce ad essere arricchente. Non mancano difficoltà logistiche e relazionali tra la comunità accogliente e i richiedenti asilo. La questione più difficile è la casa, riuscire a trovare alloggi sembra impossibile. Quanto alle relazioni, i richiedenti asilo sono molto riconoscenti, ma emergono difficoltà legate a divari culturali. Emerge il paradosso del fattore tempo. Da un lato l'inclusione ne richiede molto, dall'altro le tempistiche del progetto dei corridoi umanitari vanno di fretta, sono due logiche difficili da tenere insieme». Dato il valore dell’esperienza umana e dell’alternativa ai trafficanti, i corridoi vanno promossi e migliorati.
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